Da Sidney Poitier a Kate Middleton, il lungo cammino dei diritti

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Sbaglia chi pensa che il costume non abbia la sua importanza nel corso delle vicende umane e, soprattutto, politiche. Con la scomparsa, a novantaquattro anni, di Sidney Poitier, il primo attore afro-americano a conquistare l’Oscar (nel ’64 per “I gigli del campo”) e i quarant’anni di Kate Middleton, duchessa di Cambridge e icona glamour del Regno Unito post-Brexit assistiamo a uno sconvolgimento delle antiche, e sbagliate, credenze.
Sidney Poitier rivelò al mondo il suo smisurato talento fin da giovanissimo, toccando l’apice nel ’67 con “Indovina chi viene a cena?”, un film tuttora attuale, il cui tema portante era la lotta contro il razzismo e i pregiudizi fino a quel momento assai radicati anche nel contesto democratico, negli anni delle predicazioni del reverendo King, che sarebbe stato assassinato l’anno successivo a Memphis, e delle Marce per i diritti dei neri che avevano costretto il democratico del Sud Lyndon Johnson a firmare il Civil Rights Act. Con quel semplice e rivoluzionario gesto era crollato quasi un secolo di segregazione razziale, solo parzialmente intaccata dalla sconfitta dei confederali nella Guerra di Secessione e non sufficientemente contrastata neanche da Lincoln, probabilmente per mancanza di tempo, essendo stato assassinato nell’aprile del 1865 in seguito alla sua strenua battaglia per l’abolizione della schiavitù.
Parlare di Sidney Poitier, ricordarne la cinematografia e le interpretazioni memorabili è, dunque, un buon modo per ragionare con brio sulla controversa storia americana, a un anno dall’assalto a Capitol Hill e nel bel mezzo di una crisi politica, sociale e democratica senza precedenti.
Allo stesso modo, occuparsi della bella Kate è un buon modo per riflettere sia sull’attualità della questione femminile e del protagonismo delle donne a tutti i livelli sia su un’altra crisi destinata ad avviatrsi su se stessa, ossia quella del Regno Unito nella stagione post-Brexit. Una stagione che si dipana mentre il Covid continua a mietere vittime, le varianti sembrano impazzite e lo stesso fascino della Corona si è via via appannato, se non per altro per la comprensibile decadenza fisica della caparbia regina Elisabetta. E allora ecco apparire sulla scena questa donna affascinante, dai lineamenti dolci, gentile nei modi, diplomaticamente impeccabile, capace di entrare nel cuore della famiglia reale e dei sudditi e di ritagliarsi lo stesso ruolo che proprio Elisabetta seppe ritagliarsi sette decenni fa, durante la guerra e in seguito alla scomparsa del padre, re Giorgio VI. Il che dimostra quale sia il ruolo del costume nell’evoluzione dei popoli e nelle nostre vite, quanto influisca sul nostro modo di essere e, tornando a Poitier, quando la diffusione dell'”American way of life”, anche sul versante contestatore e alternativo, si sia basato non tanto sulla potenza degli armamenti quanto sulla pervasività del soft power. Sidney Poitier, dal canto suo, è stato l’emblema di una certa America democratica e inclusiva, attenta ai diritti umani e rispettosa delle minoranze. È arrivato là dove la politica troppe volte ha fallito. Ha creato un genere e uno stile. Ha avvicinato le due sponde dell’Atlantico e ci ha reso protagonisti di uno straordinario processo di cambiamento.
Sia il grande attore scomparso che la futura regina, già in vetta alle classifiche di gradimento e dotata di uno charme oggettivamente inarrivabile, ci ricordano, se ancora ce ne fosse bisogno, di quanto avesse ragione Hobsbawm a soffermarsi sui minimi dettagli. Perché la società o la si legge nel suo complesso o se ne comprende assai poco. E Sidney Poitier, dal canto suo, delle controversie americane aveva capito tutto. Proprio come Kate ha capito quale dovrà essere il suo ruolo negli anni a venire, in un Paese mai così diviso, squassato dalle disuguaglianze e incapace di fare i conti con una modernità che la mentalità corrente inglese pervicacemente rifiuta, salvo poi essere travolta da mutamenti che non chiedono permesso.

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