Presunzione d’innocenza, il decreto è già bavaglio. Intervista a Gian Carlo Caselli

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Una nuova legge rimodula il fluire delle notizie di cronaca giudiziaria. Approvata per dare seguito ad una Direttiva comunitaria si è trasformata da subito in un nuovo bavaglio per i giornalisti e in una forma di controllo della magistratura. Ne abbiamo parlato con Gian Carlo Caselli, magistrato in pensione e autore di alcune inchiesta cardine per la Storia del nostro Paese, tra le più seguite in cronaca.

Era davvero inevitabile introdurre il decreto sulla presunzione d’innocenza e in questi termini?

“Una direttiva europea del 2016 ha come oggetto l’adozione da parte degli Stati membri di alcuni interventi sul principio della presunzione di innocenza: di qui un decreto legislativo entrato in vigore in Italia il 14 dicembre 2021. Anche in questo caso è stata evocata la formula, un po’ logora, ‘ce lo chiede l’Europa’, che però non impedisce di notare come nel nostro ordinamento il principio sia già consacrato nella Costituzione, per cui ci si chiede se fosse proprio necessario un intervento ulteriore. Tanto più che oltre al precetto costituzionale vi sono anche specifiche disposizioni per reprimere eccessi o abusi nelle esternazioni sui processi (una direttiva del CSM del 2018 insieme a varie ipotesi di illecito disciplinare previste dalla legge per i magistrati). In ogni caso, se la direttiva europea offriva un dito, certi sedicenti garantisti nostrani si son presi il “classico” intero braccio. Arrivando a stabilire che la diffusione al pubblico delle informazioni relative ai procedimenti penali è consentita solo ‘quando è strettamente necessaria per la prosecuzione delle indagini o ricorrano altre specifiche ragioni di interesse pubblico’. Il che pone tutta una serie di gravi problemi”.

Quando è che l’informazione “è strettamente necessaria” e chi lo decide? E’ un compito che pensavamo spettasse ai giornalisti.

“Innanzitutto la formula usata investe tutta l’informazione giudiziaria, a prescindere dal fatto che venga in considerazione la posizione di questo o quell’indagato. Ed è stato autorevolmente osservato (V. Zagrebelsky) che nella sua assolutezza la norma potrebbe comportare l’irragionevole conseguenza di limitare il diritto di informare e di essere informati. Diritto inalienabile quando si tratta di attività giudiziaria, posto che essa ( come ogni altra attività pubblica) deve assoggettarsi al controllo sociale in punto correttezza, coerenza e affidabilità. Tanto più che se i Pm non parlano, o possono parlare solo come fossero imbavagliati dentro una gabbia, per tutti i mezzi d’informazione l’alternativa sarebbe chiudere i servizi di cronaca o trovare altre fonti, facendo ‘suonare’ campane che facilmente potranno risultare inquinate. Con effetti perversi quando l’indagato sia interessato non solo a vedere riconosciuti i propri diritti, ma soprattutto a vedere soddisfatti i propri interessi: tanto da porre in esser tutto ciò che può servire ad arginare le offensive che mirano a colpirne l’immagine nell’opinione pubblica, anche richiedendo al proprio legale – oltre a un impegno ‘tecnico’ – un concreto aiuto in tale direzione”.

A quali scenari ci dobbiamo preparare secondo lei?

A questo punto ecco alcuni interrogativi: può accadere che il processo interpretato sugli organi di informazione dalla parte privata richieda talora, per il naturale riequilibrio delle parti, una lettura speculare ad opera della parte pubblica?- alle imprecisioni o fantasie che accompagnano certe cronache, può il magistrato opporre precisazioni e chiarimenti a protezione del proprio lavoro, delle parti offese e degli interessi in gioco? Il decreto legislativo sbrigativamente riferito alla sola presunzione di innocenza sembra escludere tali possibilità. Ma attenzione, così si avvantaggiano gli indagati ‘eccellenti’ e si rafforza una grave asimmetria che caratterizza il nostro sistema penale: la compresenza di due distinti codici, uno per i cittadini ‘comuni’ e uno per i ‘galantuomini’ (cioè le persone giudicate, in base al censo o alla posizione sociale, comunque per bene…); destinati, il primo, a segnare la vita e i corpi delle persone e – il secondo – a un approccio più soft, in particolare misurando l’attesa che il tempo si sostituisca al giudice nel definire i processi per prescrizione ( o improcedibilità). Per contro, mentre le norme sulla presunzione di innocenza possono di fatto consolidare tale asimmetria, il Governo e la ministra Cartabia dovrebbero preoccuparsi di eliminare lo sfregio che essa rappresenta alla nostra Carta.


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