Il ritiro da Kabul vent’ anni dopo segna una cesura, una svolta

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“Quello che vogliamo ricordare in questo anniversario e’ il forte legame che si e’ venuto a creare dopo l’attentato fra gli Stati Uniti e i nostri alleati nel mondo”. Parole del segretario di stato americano Blinken alla commemorazione delle vittime dell ’11 settembre a Washington. Parole non scelte a caso. Il ritiro da Kabul vent’ anni dopo segna una cesura, una svolta. La politica estera americana non sara’ piu’ basata in futuro sulla forza militare ma sulla diplomazia, appoggiandosi agli alleati internazionali. Il punto di svolta del ritiro da Kabul e’ paragonabile per ampiezza storica  alla caduta del muro di Berlino. C’e’ un prima e un dopo. Non e’ un caso che alla vigilia dell’anniversario Biden abbia fatto una lunga telefonata con il presidente cinese. Quella e’ la sfida cruciale del secolo. E li’ andranno investite buona parte delle risorse che gli Stati Uniti recupereranno dal budget delle missioni militari all’estero. Intelligence, antispionaggio, sfide tecnologiche. Gran parte di altre risorse sottratte all‘impegno militare andranno reinvestite sul mercato interno americano. “America first” proclamava Trump. In questo Biden non lo smentisce anche se a differenza del predecessore punta a un‘alleanza internazionale che veda un’america a capotavola d’intesa con gli alleati nei nomi dei diritti civili. Perno di tutto lo spartiacque fra autocrazie (Russia e Cina) e democrazie (America e Europa). Anche se resta la macchia dei diritti calpestati a Kabul. Evidentemente non tutti gli uomini, come recitava la dichiarazione di indipendenza americana, nascono uguali ed hanno diritti inalienabili.


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