Il dilemma afghano e la superiorità morale

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Di fronte all’Afghanistan dei talebani 2.0, l’Occidente si dibatte – almeno al suo interno – in un dilemma, dal quale ogni apparente via d’uscita pare sbagliata: aiutare un governo fatto di nemici e che picchia le donne in strada oppure isolarlo contribuendo a far soffrire milioni di afghani e dando, di conseguenza, sempre maggior importanza (per l’economia nazionale) all’oppio?
Per ora l’Occidente, ancora sotto shock per la caduta di Kabul, si sta barricando dietro la sua presunta superiorità morale. A dargli sponda, involontariamente, sono gli stessi talebani che hanno fatto delle promesse ma non le stanno mantenendo: picchiando donne e giornalisti in strada; dando vita ad un governo che è fatto tutto, solo, di propri uomini; rifiutandosi di fare concessioni ai vinti; conducendo una brutale offensiva in Panshir che pur non rappresentava un pericolo imminente.
Si sta creando quindi uno stallo che fa comodo ad entrambi: gli studenti coranici si sentono autorizzati ad andare avanti sulla loro strada, che è quella della talebanizzazione della defunta Repubblica Islamica d’Afghanistan; l’Occidente gioca al tanto peggio, tanto meglio evitando così di fare i conti con 20 anni di errori ma anche di crimini di guerra e di centinaia di migliaia di vittime innocente che quella presunta superiorità morale l’hanno bella che cancellata. E nell’usare il termine superiorità morale cito Obama e la sua posizione su Guantanamo e varie (mettiamoci anche il carcere illegale di Bagrama).

Sempre ad Occidente se la maggior parte dei potenti e i loro influencer si girano dall’altra parte contenti di essersi liberati dell’ipoteca afghana, c’è una piccola minoranza che invece strumentalizza la cosiddetta resistenza del Panshir per invocare, quasi all’insegna della pornografia della guerra, un nuovo intervento armato perchè 20 anni non sono bastati.
Che poi, nei paradossi dell’ipocrisia politica italiana, quelli che contestano a Saviano (il quale sulla droga in Afghanistan ha pur scritto non poche inesattezze, vedi al riguardo La narrazione dell’oppio afghano è sbagliata, proviamo a riscriverla) di parlare di Scampia dal suo attico di New York sono gli stessi che plaudono a Bernard Henry Levì, presunto filosofo che dal suo appartamento sugli champs élysées ha fomentato conflitti in Libia e Siria. E ora spaccia balle guerrafondaie sul Panshir.

Un po’ come quelli che in Italia attaccano le femministe perchè “ormai non si può dire più nulla” e c’è la crisi del maschio bianco e della famiglia tradizionale, ma oggi tuonano a favore delle donne di Kabul e del loro coraggio e lo fanno solo perchè dall’altra parte ci sono dei mussulmani con un riflesso condizionato di razzismo.
E’ il classico teatrino politico italico, quello di cui dovremmo liberarci se volessimo uscire dalle nebbie che ci rendono miopi e ci fanno vedere fatti lontani e complessi come fossero sovrapponibili alle beghe di casa nostra.

Ora veniamo al punto.

Di fronte alla foto di giornalisti arrestati e frustati per aver raccontato una manifestazione anti-talebana, di fronte a donne picchiate dai miliziani in strada perchè chiedono diritto a scuola e lavoro, c’è un’altra strada rispetto all’ignorare l’Afghanistan perchè noi siamo quelli delle democrazie liberali e rispetto all’invocare una nuova guerra?

Sicuramente sì e si chiama dialogo, se non vi piace la parola usiamo quella “pressione”, arriviamo ad usare persino quella ricatto.

I talebani sono in totale controllo del Paese, non hanno avversari tranne uno, quell’ISKP – lo Stato Islamico – che è anche un nemico nostro, dell’Occidente. Per ottenere qualcosa in Afghanistan bisogna per forza di cose parlare con loro. Del resto con chi hanno dialogato gli americani se non con loro, con il nemico, per portare all’aeroporto centinaia di afghani vulnerabili? O pensate se li siano andati a prendere con la forza in territorio ostile?

Dialogare non significa certo assolvere i talebani, le cui mani restano sporche di sangue ma non meno di quelle dei signori della guerra che abbiamo tenuto al potere per vent’anni con risultati sotto gli occhi di tutti.
Dialogare significa far leva sulle debolezze dei talebani e costringerli a fare concessioni su corridoi umanitari (per liberare chi è ancora intrappolato in Afghanistan), diritti delle donne, stampa, lotta alla droga e al terrorismo. Quale leva abbiamo nelle nostre mani? Quasi l’80% del bilancio statale afghano dipende dai nostri soldi e i rubinetti degli aiuti sono stati chiusi di botto a ferragosto. Per il combinato disposto di guerra, siccità e covid, l’Afghanistan si avvia verso la catastrofe economica ed umanitari e con esso i talebani marciano verso fortissime tensioni sociali che ne metteranno in dubbio il potere con il rischio di un’altra guerra civile. Si veda, per esempio, l’allarme del ministro alla Sanità che preannuncia il collasso del sistema.
Hanno bisogno di aiuti esterni (che intanto cominciano ad arrivare da Qatar, Pakistan e Cina) e allora perchè non metterli all’angolo? Anche questo è dialogo. Se solo si avessero davvero a cuore il destino degli innocenti civili afghani con una vera politica pragmatica e senza oziosi teatrini a caccia di un voto o di un like in più.


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