G8 di Genova: abbiamo dimostrato che c’era un’alternativa alla globalizzazione. E c’è ancora.

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Se dovessimo trovare un momento simbolico, fondativo, di quello che fu il movimento dei movimenti degli anni duemila, il G8 di Genova nel 2001 ne rappresenta forse il punto più alto. E’ stato, in verità, un momento di passaggio, che permise di coagulare, sistematizzare, rendere egemoniche tutte le narrazioni che nel decennio precedente stavano dimostrando come la storia non fosse finita, come la sindrome di TINA (There Is No Alternative) non fosse altro che un mantra costruito ad uso e consumo delle élite che contano, per giustificare una globalizzazione neoliberista che, oramai, stava assumendo quelle caratteristiche sempre più predatorie a cui avremmo assistito negli anni a venire. Quel movimento seppe tenere assieme due aspetti che divennero la quota di un rinnovato impegno sociale: l’intersezionalità dei temi e la capacità previsionale da una parte, e la necessità di convergere a partire dalle proprie specificità, per creare un soggetto plurale, conflittuale e capace di rispondere in modo complesso a una realtà sempre più complicata e insostenibile.

A fianco delle mobilitazioni di piazza, dove si espresse un arcipelago di forme di lotta, di letture e di proposte tutte connesse tra loro, nel Public Forum organizzato in quelle giornate i movimenti sociali imbastirono una rilettura della fase neoliberista, arrivando a prevedere tutte le crisi che, puntualmente, si sono avverate nel corso degli anni. Dal disastro subprime alla speculazione sulle materie prime, conseguenza della liberalizzazione dei flussi di capitali, ma soprattutto, della deregolamentazione dei prodotti derivati, per arrivare alla crisi climatica e a quella sociale, che con la pandemia globale che stiamo vivendo ha mostrato tutte le sue fratture, dividendo ancor di più il pianeta in esclusi e privilegiati.

Il Genoa Social Forum ha saputo raccogliere un immaginario diverso, alternativo, conflittuale con un modello di sviluppo incompatibile addirittura col pianeta. E lo ha fatto raccogliendo l’eredità dei movimenti precedenti, portandola a livello globale. Un’eredità che parla dell’opposizione dei territori alla liberalizzazione dei mercati, come avvenne a San Cristobal de las Casas in Chiapas 7 anni prima, quando il movimento zapatista si oppose all’approvazione del NAFTA, l’accordo di libero scambio tra Stati Uniti, Messico e Canada, e che passa da Seattle nel 1999, quando i movimenti bloccarono la ministeriale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, che aveva l’obiettivo di lanciare un grande round di liberalizzazione globale dei mercati. E rilanciando la lettura di due sindacalisti americani, Jeremy Brecher e Tim Costello, che nel loro “Contro il capitale globale” sottolinearono come fosse necessario la convergenza tra diversi per legare a terra il Gulliver della globalizzazione neoliberista.

Quell’eredità si è concretizzata successivamente con il Forum sociale di Firenze nel 2002, uno dei punti più alti del movimento mondiale, e con la grande mobilitazione contro la guerra del 2003. E con le tante esperienze e iniziative carsiche che, da quel periodo, si diffusero sui territori. Poco visibili per l’esigenza sensazionalistica della stampa, ma che hanno permesso esperienze come l’impegno per la lotta al cambiamento climatico, il referendum sull’acqua, la nascita delle reti sulla sovranità alimentare e i movimenti sulle questioni di genere.

La pandemia ha, nei fatti, riaperto i giochi. Gli effetti sindemici del virus sono stati la conseguenza dello spazio lasciato ai mercati ai profitti, che hanno messo in secondo piano i diritti delle persone indebolendo persino tutti quei presidi sanitari che sarebbero stati la soluzione più immediata ed efficace alla crisi sanitaria che abbiamo vissuto. Ma sono stati anche la dimostrazione delle tante fratture sociali che questo sistema ha creato nel tessuto sociale e che, oggi più che mai, vanno messe al centro dell’agenda politica dei movimenti. Per questo sono nate esperienze come la Società della Cura, una convergenza di oltre 400 realtà che ha come obiettivo quello di creare le condizioni di un allargamento del fronte sociale contro il neoliberismo. Un allargamento che passa anche dalle giornate genovesi per il ventennale del G8, come punto di passaggio sostanziale in vista delle mobilitazioni dell’autunno che verrà. Perché da questa crisi si può uscire solo se lo faremo tutte e tutti assieme, rimettendo la parola conflitto al centro dell’agenda politica dei prossimi anni.

*Presidente di Fairwatch


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