Lo sguardo del Papa da Mosul, indimenticabile messaggio di speranza

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Ancora poco, poi Francesco lascerà l’Iraq. Qual è stato il momento più alto? L’incontro di Ur, negletta casa Abramo? Najaf, città santa dell’Islam sciita? Mosul, a lungo immersa nelle tenebre omicide dell’ISIS? Qaraqosh, speranza di ripresa di un Iraq davvero plurale perché anche cristiano come è stata e tornerà Qaraqosh? Il palazzo presidenziale di Baghdad, costruito nel classico stile megalomane-fascista di Saddam (così simile a quello degli Assad)?

Sono tutti momenti importanti, indimenticabili, ma forse se devo sceglierne uno io scelgo Mosul: perché davvero lì, quando si è seduto nella piazza tra le macerie delle tenebre che l’Isis ha imposto per anni a vittime uccise o tenute in penosissima vita, il suo sguardo ha testimoniato che la notte può finire, la fratellanza è più forte del fratricidio.

Non riesco a capire perché il fratricidio ci sembri realtà, un orrore vero, possibile, mentre la fratellanza ci sembri un’utopia. Forse perché anche noi non crediamo che siamo tutti fratelli? Forse anche noi crediamo che fuori dalla nostra verità, di fede o di non fede, ci sia solo una falsa umanità? La fratellanza di Francesco è pluralismo, ed è andata a predicare il pluralismo della vita dei fratelli, uguali perché diversi, tutti diversi, fino ai confini dello spazio mediterraneo.

Molti iracheni hanno sperimentato molto più dolorosamente di noi cosa voglia dire non credere nel pluralismo della verità morale comune all’umanità, il paradigma che Bergoglio ha squadernato davanti agli occhi increduli di molti da Mosul. Questo paradigma ha cambiato qualcosa? Sì, ha cambiato lo sguardo con cui molti guardano l’altro, gli altri. Molti musulmani, molti cattolici, molti cristiani, molti agnostici, molti atei, che hanno sentito Bergoglio dire a Mosul:  “ Qui a Mosul le tragiche conseguenze della guerra e delle ostilità sono fin troppo evidenti. Com’è crudele che questo Paese, culla di civiltà, sia stato colpito da una tempesta così disumana, con antichi luoghi di culto distrutti e migliaia e migliaia di persone – musulmani, cristiani, gli yazidi, che sono stati annientati crudelmente dal terrorismo, e altri – sfollati con la forza o uccisi! Oggi, malgrado tutto, riaffermiamo la nostra convinzione che la fraternità è più forte del fratricidio, che la speranza è più forte della morte, che la pace è più forte della guerra. Questa convinzione parla con voce più eloquente di quella dell’odio e della violenza; e mai potrà essere soffocata nel sangue versato da coloro che pervertono il nome di Dio percorrendo strade di distruzione”.

E’ per questo che più tardi, molti musulmani, sono voluti andare ad ascoltarlo nello stadio di Arbil, insieme ai cristiani. Non si sono convertiti, hanno reso onore e omaggio a un loro fratello venuto a dirgli che loro sono suoi fratelli. Gli altri leader mondiali che sono andati fin lì sono andati soltanto in caserme o palazzi blindati.

Lo sguardo di Bergoglio cambia lo sguardo degli altri su di lui, non hanno visto, come gli insegnano le milizie khomeiniste o wahhabite, l’infedele, no: vi hanno visto l’amico di Dio, come loro. Quelle milizie vendono un islam nemico dell’islam popolare, quello autentico, quello che crede, come ha detto un grande musulmano, Mohammad Sammak, in tutte le religioni. Ma questa fede distorta anche in altri ambienti ha diffuso la certezza che fuori dalla propria fede ci sia solo una falsa umanità che crede in false credenze.

Così in pochi giorni di permanenza Bergoglio avrà avuto successo se sarà riuscito a cambiare il nostro colonialismo, la nostra certezza di avere una “missione civilizzatrice”, e il loro vittimismo, la loro certezza che se c’è andato sarà stato per via di un complotto. Se l’enorme sforzo di un papa che ha cocciutamente voluto questo viaggio avrà anche appena scalfito questi immaginari malati allora si potrà dire che ha avuto successo.

La politica sta fallendo: lo vediamo nell’annaspare americano, russo, cinese, iraniano, saudita, turco,  alla ricerca di un bandolo per fare meglio i loro interessi senza curarsi di quelli degli iracheni, dei siriani, dei libanesi, facendo dei loro paesi i campi neutri di gioco dove si giocano la  loro battaglia imperiale, mentre  iraniani, iracheni, siriani, libanesi, yemeniti, più che al nucleare pensano alle milizie che li straziano, pensano ai progetti imperiali di chi vuole tornare fino al mediterraneo per farsi concedere basi militari nei porti del Mediterraneo o del Golfo. Questa politica ha bisogno di una duplice indignazione: nostra, per dire che non c’è “missione civilizzatrice”, e loro, per dire che non esistono solo complotti, ma anche processi e i processi li avvia chi crede in quello che dice e lo fa. Bergoglio crede in quello che dice, “fratelli tutti”, e lo fa: andando fino a Ur dei caldei per invocare la rinascita di stati sovrani, basati sulla pari cittadinanza tra tutti i cittadini, non sudditi.

(Foto Ansa)



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