La “cosa nuova”

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La “cosa nuova”, quella sinistra “larga e plurale” che riunisca alle prossime elezioni politiche il M5S, PD e Leu, magari sotto la guida di Conte, sarebbe il sogno di molti ma è poco probabile. Molte cose devono cambiare all’interno delle tre le formazioni politiche prima della scadenza del 2023. Quando sarà, io credo, il giudizio degli elettori sui cambiamenti avvenuti e dimostrati ad indicare tempi e modi di un’eventuale federazione di centrosinistra. E prima ancora, le alleanze e il risultato degli appuntamenti elettorali amministrativi previsti a più breve scadenza,

Ieri l’ex premier dei giallorossi ha accettato da Grillo e dalla grande maggioranza del movimento l’incarico di avviare un progetto del tutto nuovo, sia per l’organizzazione che per la linea politica, fondata sui “tre pilastri della transizione ecologica, della legalità e dei diritti sociali, delle donne e degli ultimi”. L’europeismo “critico”, i metodi liberali e il ridimensionamento della piattaforma “Rousseau” ne accompagnerebbero la migrazione a sinistra.

In un editoriale sulla Repubblica, Ezio Mauro auspica oggi la confluenza di un movimento così rinnovato nel gruppo socialista europeo. Con questa scelta – scrive l’ex direttore del quotidiano – “il problema sarebbe risolto per entrambi i partiti, almeno in teoria, perché si scioglierebbe il nodo identitario che ha avviluppato finora il populismo grillino in un fascio indistinto antipolitico”. “Se loro entrano, esco io” – si è affrettato a dichiarare Calenda, anticipando probabilmente anche la reazione dei renziani nel PD. Il peso di questi ultimi sul partito di Zingaretti è infatti un altro nodo da sciogliere.

E’ lo stesso ex direttore di Repubblica Ezio Mauro ad ammettere oggi che “pur di reggere l’insieme della coalizione, il Pd abbassava la voce. E le ragioni della sinistra e del riformismo non riuscivano mai a prevalere, sfumando in un indistinto ‘governismo’ che ha annacquato l’identità democratica”. Un punto di vista, sia detto tra parentesi, decisamente alternativo a quello del direttore Maurizio Molinari o dell’altro illustre editorialista, Stefano Folli.

Ora con il “governo di tutti (e di nessuno)”, aggiunge Mauro, “il Pd è più libero e può scoprire l’autonomia delle sue ragioni, portando la politica in quei pezzi di società che aveva abbandonato, i più colpiti dalla crisi”. Ora, se è vero che Matteo Renzi “è sempre stato un estremista di centro” come lui scrive, l’ambiguità del Pd è destinata a restare finché chi continua a pensarla come l’ex leader non avrà smesso di pesare sul suo orientamento.

E Leu? E’ chiaro che una rottura definitiva del Pd col renzismo è condizione prioritaria per l’avvio di quella “cosa nuova” , di quella sinistra “larga e plurale” che è nell’orizzonte indicato dai protagonisti dello sfortunato tentativo di “Liberi e Uguali”. Ma – aggiungerebbe Fabrizio Barca, l’unico ad avere idee abbastanza chiare e concrete su quello che dovrebbe fare la sinistra da qui al 2050 – per ottenere la partecipazione democratica di milioni di elettori italiani servirà molto più che l’intelligenza e la capacita di un buon mediatore.


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