Quella “fatica” di essere disabile tutti i giorni

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E’ da poco trascorsa la giornata mondiale della disabilità, fissata per il 3 dicembre, nemmeno i social (spesso avanguardia della nostra società in quanto al tema diritti) si sono agitati molto sul punto. Temo ci sia una sorta di “stanchezza” collettiva rispetto al calendario della quotidiana mobilitazione che ti fa dire ”ogni giorno ce n’è una…”.
In realtà le giornate dovrebbero servire a “sensibilizzare” le persone, come si usa dire. Magari sul tema disabilità sarebbe il caso aprire un dibattito vero in Italia, dove siamo rimasti alla concezione ottocentesca del disabile come soggetto da assistere non da integrare.
Siamo indietro praticamente su ogni punto, si tratta di apparato sanitario, di spazio pubblico o di coscienza privata.
L’assistenza (quella che qualche decennio fa era stata conquista) è ormai diventa vessazione perché il disabile deve affrontare un’immane e costosa burocrazia, la quale fa di tutto per limitarlo ancor di più tra medicina difensiva (chi firma si tutela) e il tentato stop alle truffe (una barzelletta…se solo si guarda solo all’abuso dei contrassegni di sosta in giro per la città).
Nel mondo del lavoro le cose non vanno meglio, in Italia non esiste il valore della diversità. Per le aziende il disabile è un numero che serve a fare quota rispetto ad obblighi di legge (“categorie protette” nome che già di per sé dice tutto) non fonte di altri punti di vista e potenziale arricchimento per il corpo aziendale.
Se si guarda ai servizi offerti dai privati siamo persino peggio. Per esempio, ormai in ogni bar trovate cornetti per #vegani e #celiaci ma è molto più difficile trovare una rampa per superare i gradini o il gradino d’ingresso a quello stesso bar. I disabili non sono nemmeno diventati una nicchia di mercato.
Lo spazio pubblico, per esempio a #Roma la capitale, è poi un disastro per tutti figurarsi per i disabili. Le strisce guida per i ciechi servono a far scivolare chi ci passa sopra. I posti di sosta sono occupati. La metropolitana è inaccessibile persino per chi ha buone gambe ma è stanco, vecchio o incinta
E i disabili che nonostante tutto questo provano ad integrarsi? Oltre alla fatica che un percorso del genere comporta (per esempio metter insieme cure e orario normale di lavoro) c’è il giudizio dei “normali” che ti guardano come un pazzo esagerato e quando diventi troppo competitivo (per loro) incominciano a farti la guerra per salvaguardare la tua salute, per il tuo bene, per tutelare l’azienda.
Non accade sempre, per fortuna esistono contesti virtuosi, ma sono un’eccezione in Italia dove manca una cultura dell’arricchimento e la parola diversità è marginale e limitata a casi molto specifici.
Infine il #Covid_19 ha complicato ulteriormente le cose. Un solo esempio: sordi che non possono più leggere il labiale per via delle mascherine (che vanno indossate certo ma con una finestrella trasparente) senza pensare all’arretrato che si è accumulato per esempio nelle varie commissioni mediche da cui dipende quell’assistenza che è l’unica cosa che questo Paese (pur peggio di prima) garantisce ai disabili .
Potrei scrivere ancora ma mi fermo qui, forse vi ho già annoiato. Se ne riparlerà il prossimo 3 dicembre?

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