Vittorio Bachelet, un uomo giusto

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Era un uomo giusto, Vittorio Bachelet, combatteva anche lui la buona battaglia di Mattarella e di tati altri cattolici democratici in nome di un’atra idea d’Italia e di politica. Un giurista aperto, colto, lungimirante, assassinato dai brigatisti Bruno Seghetti e Anna Laura Braghetti esattamente quarant’anni fa, nel contesto di un paese sull’orlo di una crisi di nervi, dilaniato da scontri d’ogni sorta, annientato da un decennio di odi e di orrore e prossimo a vivere la terribile strage della stazione di Bologna su cui solo ora, finalmente, comincia a svanire la coltre di nebbia che per quarant’anni l’ha avvolta, impedendoci di conoscere la verità su uno degli snodi cruciali di quella stagione.

Bachelet cadde, come pochi anni dopo Ezio Tarantelli, come prima di loro Moro e Piersanti Mattarella, per via del rancore ferino e disumano che si abbatté innanzitutto contro i riformisti veri, quei pochi che avevano intuito non solo la necessità di una serie di riforme strutturali del Paese ma anche il bisogno impellente di un coinvolgimento della base sociale nel processo di cambiamento, denunciando l’arrocco nel palazzo del proprio partito di riferimento e l’incapacità di tanti, troppi di comprendere che la fase dei Trenta gloriosi si era ormai conclusa. Uomini sobri, moderati nei toni ma radicali nelle idee, precursori delle svolte successive e troppo avanti per una Nazione ancora impaniata in una guerra ormai perduta con i propri demoni.

Vittorio Bachelet fu assassinato perché voleva andare al di là di quell’epoca grigia, colpito all’università La Sapienza sul mezzanino della scalinata che porta alle aule professori della facoltà di Scienze Politiche, vittima di un’abiezione che ci ha privato di ogni prospettiva e non ha fatto altro che acuire una crisi già presente nel tessuto politico, reso disperato dall’esaurirsi di un’epoca e dalle innumerevoli difficoltà affinché ne sorgesse una nuova. Sarebbero serviti quindici anni e le intuizioni di Nino Andreatta perché si giungesse alla nascita dell’Ulivo, aiutata anche dalle dirompenti conseguenze della caduta del Muro di Berlino e dagli inevitabili cambiamenti che essa provocò. Bachelet ci era arrivato prima: aveva in mente un’idea di centrosinistra, una cognizione dei problemi della comunità nel suo insieme, una concezione positiva del futuro e un’ambizione sincera di migliorare la vita delle persone. Le ragioni per cui oggi lo ricordiamo con affetto sono le stesse per cui cadde sotto i colpi di una forza bruta che si spacciava per rivoluzionaria ma era, in realtà, quanto di più conservatore e reazionario sia mai comparso nel panorama politico italiano. Un’organizzazione terroristica che dietro di sé ha lasciato solo macerie e una scia di sangue giunta fino a noi. I cadaveri di chi inseguiva un sogno di libertà e ha pagato le proprie speranze concrete col prezzo inaccettabile della vita.


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