Costretto dallo stato a pagare il conto lasciato da un criminale nazista

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Mi avessero sorpreso a rubare, mi sarei vergognato di meno. Mi avessero detto: fattene una ragione, è una legge del cavolo, ma è la legge; faremo di tutto per mutarla, ma fino a quando è in vigore ti devi sottomettere… Ecco, l’avrei accettato, non avrei fiatato.

   No, invece: alla mia domanda, rivolta in dieci, venti comunicazioni, silenzio, indifferenza. Silenzio e indifferenza della presidenza del Senato, della presidenza della Camera dei deputati, del ministro della Giustizia, di tutti i leader di partito presenti in Parlamento. Silenzio e indifferenza da parte di quelle istituzioni nelle quali sentivo il dovere di credere, e che mi hanno, letteralmente, tradito, umiliato, oltraggiato.

   Questa mattina mi sono presentato all’ufficio postale con un bollettino e versato trecento e passa euro sul conto intestato all’Agenzia delle Entrate. Per saldare non un mio debito; è la somma che allo Stato italiano deve un criminale nazista condannato in sede definitiva all’ergastolo perché giudicato tra i colpevoli dell’orrendo eccidio alle Fosse Ardeatine.

    Ho pagato; e pagando mi sono dimesso, dopo una sessantina d’anni di onorevole servizio, da cittadino; sono entrato a far parte della folta comunità dei sudditi.

    La storia che mi vede mio malgrado protagonista non so bene come definirla: grottesca? Comica? Di ordinaria, burocratica, miopia?  Fate voi. Io sono soprattutto offeso dal silenzio e dalla pervicace indifferenza che ho registrato da parte di coloro che avrebbero dovuto darmi almeno una parola di spiegazione. Con il loro silenzio, con la loro indifferenza, mi hanno detto, chiaro e tondo: fottiti, noi ce ne freghiamo.

   La storia comincia nell’ormai lontano 1996. Il 1 agosto di quell’anno una corte di giustizia italiana, pur riconoscendo le responsabilità dell’ex capitano delle SS Erich Priebke per quel che riguarda l’eccidio alle Fosse Ardeatine, ritiene di applicare le attenuanti generiche, e dichiara di “non doversi procedere, essendo il reato estinto per intervenuta prescrizione”; ne ordina l’immediata scarcerazione. Una sentenza accolta con grande indignazione dai familiari delle vittime, dalla comunità ebraica di Roma, dalla Roma civile e democratica. La pacifica protesta attorno alla sede del tribunale militare, si protrae fio a notte fonda. Interviene il ministro della Giustizia di allora, Giovanni Maria Flick, che riesce a trovare una norma che blocca l’iter di scarcerazione, e dispone un nuovo processo. Priebke viene infine condannato all’ergastolo; lo sconta in parte nel carcere militare, poi ai domiciliari, in un appartamento che gli viene messo a disposizione da un suo simpatizzante. Ai domiciliari Priebke resta fino a quando non sopraggiunge la morte, l’11 ottobre 2013.

   Priebke non dimentica quella manifestazione del 1 agosto 1996: si ritiene vittima di una sorta di sequestro di persona, e – con i suoi legali – individua in Pacifici e in chi scrive, gli organizzatori del sequestro. Ci troviamo indagati, finiamo sotto processo. Curioso: il magistrato non si dà neppure pena di interrogarci, di conoscere la nostra versione. Si arriva così al processo. Assolti in primo grado, nel successivo, e in Cassazione. Pago di tasca mia l’avvocato che mi ha difeso, non chiedo un centesimo di risarcimento per il danno che la vicenda mi ha procurato: con Priebke non voglio aver nulla a che spartire, avere da simile individuo anche un solo centesimo mi avrebbe provocato l’orticaria. Priebke, in quanto querelante-soccombente è condannato a pagare le spese processuali. Per quel che mi riguarda la vicenda finisce.

   Passano gli anni; nel maggio 2013 mi viene recapitata una busta, con l’ingiunzione a pagare 285 euro per spese processuali. Chiedo chiarimenti; come mai mi si chiede di pagare al posto di chi ha perso, ed è stato condannato? A questo punto il dialogo si fa surreale: “Priebke risulta nullatenente, dunque anche se voi avete vinto la causa, dovete pagare. Lo Stato non può andare in perditaPerò, dopo, se vuole, lei si può rivalere nei confronti di Priebke”.

   Non è questione di alcune centinaia di euro; è questione di principio. In generale, perché non mi sembra giusto che chi viene assolto debba far fronte a spese che chi è condannato non paga; nello specifico: un nazista mi perseguita, e alla fine devo pagare al suo posto, pur essendo messo nero su bianco che non sono colpevole di nulla? Roba da matti.

   Sono, politicamente parlando, allievo della scuola di Marco Pannella, radicale da quando indossavo i calzoni corti. Inerme, ma non inerte. Sollevo mediaticamente il caso. Se ne occupano giornali e televisioni. Trascorrono un paio di giorni, colleziono un robusto dossier di reazioni e dichiarazioni indignate e stupite. Infine la notizia: un anonimo benefattore decide di pagare lui, le spese processuali. E’ evidente che qualcuno ha pensato di metterci una toppa in questo modo. Grazie, “anonimo”. Non ci penso più.

   Storia chiusa? No. Qualche mese fa nuova busta dell’Agenzia delle entrate-riscossione”, con un papiro di carte che non finisce mai; il cui succo è in un bollettino, che mi invita a pagare 291 euro e 21 centesimi entro sessanta giorni dalla notifica: “277.02 controllo tasse e imposte indirette anno 2007; 8.31 oneri di riscossione spettanti a Agenzia delle entrate-Riscossione; 5,88 diritti di notifica spettanti a Agenzia delle entrate-Riscossione”.

   E “l’anonimo benefattore”? Evidentemente non è mai esistito; se lo sono inventati per tacitarci nei giorni della polemica. Ammirevole, non c’è che dire, l’“Agenzia delle entrate-Riscossione”, che tace, ma implacabile non dimentica: e torna a farsi viva, sei anni dopo la prima ingiunzione; ventitré anni dopo la notte del presunto sequestro; una dozzina d’anni dopo che tre sentenze “in nome del popolo italiano” hanno certificato che quel sequestro non c’era stato, e che comunque né Riccardo Pacifici né io siamo colpevoli di alcunché.

    Torno a sollevare mediaticamente la questione. Il presidente della Federazione Nazionale della Stampa, Beppe Giulietti, l’USIGRAI con i suoi dirigenti, altri colleghi (non troppi, a dire il vero) si schierano al mio fianco, esprimono solidarietà e vicinanza. La più cara e preziosa e’ quella della presidente della comunità ebraica di Roma, Ruth Dureghello: “Mi auguro sinceramente che le istituzioni e le autorità sappiano comprendere quanto gravi possono essere gli effetti e le ricadute di questa stortura giudiziaria e riportare nei giusti canali il messaggio che la memoria di una società democratica e civile deve diffondere. Per questa ragione ci siamo offerti di pagare noi le spese, affinché diventi ancora più evidente l’assurdità di questa decisione”.

   Credo che Ruth e la Comunità abbiano pienamente colto la gravità della cosa: credo che si debba riflettere su quanto hanno colto con esattezza: “quanto gravi possono essere gli effetti e le ricadute di questa stortura giudiziaria”.

    Sono in errore se la considero frutto di una burocrazia miope e venata di follia; esagero se considero una beffa, un oltraggio, un insulto, quanto mi è accaduto e accade?

   Evidentemente, sì: sono in errore. Arriva la terza ingiunzione. A questo punto, basta: sono esausto. Hanno vinto loro. Ha vinto Priebke. Hanno vinto gli indifferenti, i silenziosi; quelli che potevano e non hanno mosso un dito, non hanno detto parola. Questa mattina ho pagato la cifra richiesta, con ulteriori 17 centesimi di mora. La considero un’estorsione. Un furto. Lo subisco e patisco. Versando quel denaro, ho provato rabbia, vergogna, indignazione. Mi sono dimesso da cittadino. Da questa mattina sono suddito.

   Il nazista si è comportato da nazista qual era, fino in fondo. Ma gli altri, quelli che tutti i giorni mi chiedono di aver fiducia, di credere nei valori che dovrebbero incarnare e che dovrebbero essere di esempio per tutti: loro riescono a immaginare la rabbia, lo sdegno (e per buona educazione non uso altri termini), che provo nei loro confronti? Sono loro che mi hanno tradito, colpito alle spalle. Non li perdonerò mai, per questo.

Ps.: ringrazio la comunità ebraica di Roma che attraverso Ruth si è offerta di pagare per me. No; che sia la comunità a pagare il debito di un nazista lo riterrei un ulteriore oltraggio. Non voglio, non posso, non devo. Dai miei amici della comunità accetto tutto, spezzerò sempre con loro il pane, ma questo proprio no. Quella somma molto meglio la destinino a qualche ente che sostiene e aiuta persone bisognose della comunità. Mi aiuterà a superare la rabbia e l’indignazione che mi cova dentro. Li ringrazio e li abbraccio.


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