Ma perché tanto odio?

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Perché c’è ancora tanta ostilità e disprezzo nei confronti dei Rom e dei Sinti? Stando ai dati e alle statistiche ampiamente diffuse essi non rappresentano alcuna emergenza o minaccia alla sicurezza pubblica. E allora perché quando parliamo o scriviamo dei Rom e dei Sinti quasi sempre cediamo ad una riflessione sulla criminalità? La risposta, secondo gli esperti, sta nella mancata elaborazione dell’antiziganismo, ovvero una forma di intolleranza specifica che ha visto negli ultimi anni una recrudescenza accompagnata da episodi di tensione e violenza. Un termine recentissimo, coniato solo negli ultimi 20 anni, ma che descrive un fenomeno radicato nel corso dei secoli. Secoli in cui i Rom, i Sinti e i Camminanti sono stati vittime silenziose di innumerevoli discriminazioni. Definiti al loro arrivo in Europa attorno al 1400 “gente diversa” alla quale nessun stato permette di sedentarizzarsi. Gente bandita con editti di papi e imperatori e dunque sempre costretta alla fuga. Ecco perché ai nostri occhi sono diventati nomadi. Ecco perché i Rom e i Sinti si sono radicati nelle coscienze collettive come vagabondi, popolo in eterna lotta con la legge. Vittime del cosiddetto razzismo scientifico che nel 1800 li definiva “neri e dolicocefali”. Vittime dell’odio culminato nel genocidio perpetrato dai nazisti e dai fascisti che ha provocato oltre 500 mila morti, massacrati o sterminati nei campi di sterminio tedeschi.

 

“Verso una normalizzazione”

Oggi abbiamo a disposizione strumenti culturali, statistici e giuridici, in base ai quali la rappresentazione dei Rom e dei Sinti potrebbe cambiare. Il popolo romanés rappresenta un popolo eterogeneo e culturalmente molto ricco. È un popolo con alle spalle il peso di secoli di oppressione, ma che nonostante ciò continua a camminare a testa alta mantenendo vive le tradizioni e coltivando la propria cultura  integrandosi ed adeguandosi ai tempi. Il loro è un mondo fatto anche di persone colte e attive che i giornalisti hanno avuto modo di conoscere nel corso del convengo “Ma perché tanto odio? Informazione, media e antiziganismo in Italia” organizzato da UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) in collaborazione con FormezPA e l’Ordine dei giornalisti. Una tre giorni di studio che si è tenuta a Roma dal 26 al 29 novembre, in cui esperti provenienti da contesti diversi hanno fornito approfondimenti di tipo storico, antropologico, giuridico e giornalistico per analizzare l’origine e la diffusione del discorso d’odio antizigano.

 

“Demonizzazione mediatica”

 Tra il 1990 e il 2015 l’Ansa ha dedicato 110 mila lanci sui Rom e i Sinti. Dalla ricerca condotta da Eva Rizzin, ricercatrice di origini sinte, nell’ambito del progetto Migrom in collaborazione con l’Università di Verona, uno studio sulla rappresentazione mediatica delle migrazioni dei Rom romeni verso l’Europa occidentale, emerge un costante rumore mediatico di fondo nei confronti di queste comunità, con un picco raggiunto tra il 2007 e il 2008, anni in cui la Romania e la Bulgaria sono entrate nell’Unione europea. Sono soprattutto anni in cui a seguito di gravi fatti di cronaca il governo Berlusconi dichiara lo stato di emergenza in relazione alle Comunità “nomadi” dando addirittura avvio a censimenti su base etnica. Un’emergenza dichiarata poi illegittima dal Consiglio di stato nel 2011.

In quegli anni la narrazione si permea di odio colpevolizzando non gli autori dei reati, ma l’intera comunità romanés. Anche negli anni successivi, la rappresentazione dei Rom e dei Sinti ha continuato e continua ad essere legata a logiche demonizzanti: si è arrivati addirittura a paragonarli agli animali con termini che istigano alla violenza e all’odio riportando nei titoloni soluzioni proposte da rappresentanti di istituzioni e amministrazioni pubbliche istigazione all’odio razziale: “Per i rom ci vorrebbero i forni” – Bufera su consigliere comunale (Corriere della Sera, 31/10/2014), e ancora: “Il padre della 14enne stuprata dai rom: ci pensi la legge o lo faccio io” (Il Giornale, 5/11/2017). Questo il un titolo citato da Luca Bravi, docente di Storia dei processi comunicativi e formativi spiegando che la ragazza ha poi dichiarato di essersi inventata la vicenda. Bravi ha poi lamentato che quasi nessun giornalista ha mai dato voce ai Rom e ai Sinti, i veri protagonisti di queste vicende. Pochi professionisti dell’informazione hanno consultato le fonti di queste notizie. Questa la proposta di Bravi: “Per uscire dalla logica dell’odio è necessario cambiare la narrazione e dar via ad un processo di normalizzazione”.

 

Punire l’antizignismo mediatico?

Molti sono i casi in cui il linguaggio che istiga all’odio e alla violenza è stato segnalato alle autorità giudiziarie o all’Ordine dei Giornalisti. “Ma gli strumenti giuridici come le sanzioni o i richiami dell’ODG non possono fermare un fenomeno che è culturale. C’è bisogno di normalizzare la narrazione”. Questa la riflessione di Alessandro Simone, professore di Sistemi giuridici all’Università di Firenze. Sulla stessa linea anche il Presidente dell’ODG Carlo Verna che ha richiamato i giornalisti al rispetto delle regole deontologiche contenute nel testo Unico, dalla Carta di Roma a quella di Treviso per citarne solo alcune. Verna ha ricordato però che i professionisti dell’informazione sono prima di tutto cittadini italiani che devono rispettare la Costituzione e che l’Articolo 21 che tutela il dovere di informare e il diritto ad essere informati è preceduto dall’Articolo 3 che richiama il giornalista al rispetto della persona: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.”


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