Otto anni in primo grado a un giornalista

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Il clamoroso caso di Gabriele Carchidi, sottoposto a 179 processi (35 udienze nell’ultimo mese) e la proposta di legge per abolire la detenzione per questo reato che il Parlamento non riesce ad approvare

Sono 179 (dieci avviati nel solo mese di ottobre 2019) i processi per diffamazione a mezzo stampa a carico del giornalista di Cosenza, Gabriele Carchidi, direttore del giornale online Iacchite.com

Il giornalista è stato già condannato 17 volte in primo grado a pene detentive per complessivi 8 anni e mezzo di carcere (101 mesi), senza sospensione condizionale della pena. Non va in carcere perché sono ancora in corso i processi di appello e i ricorsi in Cassazione.

Ossigeno ha presentato questo caso al convegno sull’impunità promosso in Senato il 25 ottobre 2019. Lo ha illustrato il difensore di Carchidi, avvocato Nicola Mondelli.

LE ULTIME CONDANNE – Il 3 luglio 2019 la Corte di Appello di Catanzaro ha confermato la condanna di primo grado di Gabriele Carchidi per diffamazione a mezzo stampa nei confronti del magistrato Claudio Curreli, rideterminando la pena già inflitta. Il tribunale di Cosenza (giudice De Vuono) a marzo del 2017 gli aveva comminato nove mesi di reclusione e la sospensione condizionale. La Corte d’Appello ha trasformato la detenzione in una multa di 3500 euro. I giudici hanno ritenuto diffamatori alcuni articoli in cui Carchidi aveva criticato il pm Claudio Curreli per la conduzione di un’inchiesta su un fatto avvenuto nel Cosentino, e che aveva riservato clamorosi colpi di scena. Il protagonista era un frate, Fedele  Bisceglia, condannato in primo grado per violenza sessuale nei confronti di una suora. Condanna poi annullata dalla Cassazione che aveva disposto la celebrazione di un nuovo processo.

In un articolo pubblicato a gennaio 2015, Carchidi aveva scritto che la condotta di Curreli aveva contribuito alla decisione di condannare il religioso. Curreli e i suoi difensori hanno opposto che la condanna era stata annullata per difetto di motivazione. Altri articoli oggetto della querela criticavano l’operato del pm Curreli in un procedimento sull’affidamento di bambini rom ai servizi sociali o a famiglie adottive. Un altro ancora le circostanze per cui Curreli, in seguito a una denuncia di frate Bisceglia, era stato indagato per abuso d’ufficio presso la  Procura di Salerno e poi prosciolto.

L’ALLARME DEL 2017 – Nel 2017 Ossigeno aveva segnalato con preoccupazione la situazione giudiziaria di questo giornalista, poiché in soli otto mesi aveva subito quattro condanne a pene detentive per diffamazione senza sospensione condizionale ed era sottoposto a decine di altri procedimenti per lo stesso reato.

Questa situazione lasciava presagire il probabile superamento del limite entro il quale la pena può rimanere sospesa. Quindi, si prospettava un nuovo “caso Sallusti”, cioè una condanna esecutiva, e l’arresto del giornalista, con conseguente riprovazione delle istituzioni internazionali e la necessità di un intervento del Capo dello Stato per salvare la situazione commutando la pena.

Perciò la situazione processuale di Carchidi, su input di Ossigeno e per iniziativa di AEJ e Index on Censorship, era stata segnalata sulla “Piattaforma per promuovere la protezione del giornalismo e della sicurezza dei giornalisti” ospitata dal Consiglio d’Europa, come un episodio di chilling effect sulla libertà di informazione. Ma quell’allarme non ha cambiato le cose.

IL CUMULO DELLE CONDANNE – La sentenza del 3 luglio 2019, con la conversione in multa della condanna a nove mesi di reclusione, ha attenuato la gravità della situazione, ma non in modo risolutivo.

Infatti, Gabriele Carchidi – come ci dice il suo difensore avvocato Nicola Mondelli – ha già cumulato in primo grado condanne a circa otto anni e mezzo di reclusione (101 mesi) e i processi di appello sono in corso. Recentemente, è stato condannato in appello rispettivamente a otto mesi e a un mese di reclusione. Attualmente è sottoposto a 169 procedimenti penali. Nel solo mese di ottobre 2019 le udienze fissate sono state 35, più di una al giorno.

Secondo il quadro tracciato dal suo difensore, al 1° ottobre 2019 contro Gabriele Carchidi sono state pronunciate le seguenti sentenze:

In primo grado, 9 assoluzioni, 17 condanne a pena detentiva, 15 condanne a pena pecuniaria, mentre due processi si sono chiusi per remissione della querela e 5 per archiviazione.

Le condanne hanno cumulato complessivamente 101 mesi di reclusione (ovvero 8 anni e 5 mesi), pene pecuniarie per l’ammontare di 37.982 euro, risarcimenti danni per 100mila euro, spese processuali da risarcire per 60mila euro.

In secondo grado, ha riportato 3 condanne a pena detentiva (con riduzione della pena già inflitta da 29 mesi a 11 mesi di reclusione), una condanna a pena pecuniaria.

Al momento nessuna condanna è definitiva.

Le parti offese da Carchidi sono politici, magistrati, imprenditori, funzionari di polizia e carabinieri, mafiosi, persone corrotte e condannati per omicidio.

A chi definisce Carchidi un diffamatore seriale, l’avvocato Mondelli replica:

“Tutti sanno che a Cosenza è sufficiente sporgere querela nei confronti di Carchidi per ottenere un suo rinvio a giudizio. I gravi fatti raccontati e descritti non vengono presi in considerazione dalla Procura, sebbene potrebbero contenere notizie di reato. E poi, quasi sempre, Carchidi viene condannato e le condanne hanno l’effetto di esaltare l’onestà e la dirittura morale dei querelanti. Fra i querelanti ci sono il carabiniere Francesco Tedesco imputato e poi super testimone al processo per la morte di Stefano Cucchi (Carchidi lo ha indicato come uno degli assassini), due consiglieri regionali ( uno attualmente agli arresti domiciliari e l’altro in carcere per le vicende narrate da Carchidi e da loro ritenute diffamatorie), il sindaco di Cosenza Mario Occhiuto, il procuratore della Repubblica di Cosenza, Mario Spagnuolo”.

IL COMMENTO DI OSSIGENO – In accordo con la giurisprudenza europea, Ossigeno considera le condanne a pene detentive dei colpevoli di diffamazione eccessive, sproporzionate e ingiuste in quanto hanno un effetto intimidatorio sull’intero mondo giornalistico. Pertanto, l’Osservatorio segnala le condanne di Carchidi come esempio dell’effetto intimidatorio generale che l’applicazione della legge vigente può avere sulla libertà di informazione, senza con ciò condividere le affermazioni per le quali il giornalista è stato giudicato né le modalità con cui le ha espresse e senza entrare nel merito degli addebiti mossi e delle sentenze di colpevolezza pronunciate. Questo caso dimostra innanzitutto l’urgenza inderogabile di abolire il carcere per diffamazione. In secondo luogo mostra la disattenzione dei media italiani per vicende di cronaca che aiutano a conoscere i problemi della giustizia e a riflettere sugli effetti concreti di norme in evidente contrasto con la giurisprudenza europea, norme che da oltre venti anni il Parlamento italiano cerca di abolire. In terzo luogo il caso Carchidi dà valore alla proposta di affidare la trattazione dei processi a carico dei giornalisti a procure specializzate, come avviene in altri paesi e come hanno proposto alcuni magistrati italiani.

Da ossigenoinformazione


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