Tunisia: un’istanza per fare luce sui crimini della dittatura

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Dal 2011 ogni 14 gennaio si celebra in Tunisia l’anniversario della cosiddetta ‘Rivolta dei gelsomini’, la prima della stagione delle Primavere Arabe. Quest’anno l’anniversario è coinciso con la fine del mandato della dell’Instance Vérité et Dignité, commissione concepita nel momento “rivoluzionario” e ufficializzata solo nel 2013.
La Commissione Verità e Dignità ha inaugurato i lavori nel giugno del 2014 in un clima di grande emotività e polemiche che hanno accompagnato l’operato della Commissione fino alla fine. Alla conferenza finale a metà dicembre scorso, si è fatta notare l’assenza delle tre più alte cariche istituzionali: il presidente della Repubblica, quello del parlamento, e quello del governo.
La Commissione ha avuto l’autorizzazione dall’Assemblea costituente per investigare sugli abusi commessi da parte delle autorità statali nei quasi sessant’anni di regime, quello di Bourghiba prima e quello di Ben Ali poi, ovvero dal 1955 al 2013.
In poco più di quattro anni di lavoro, la Commissione ha condotto oltre 49.600 interviste confidenziali e tenuto 12 audizioni pubbliche trasmesse in prima serata in diretta televisiva. Degli oltre 62.700 dossier ricevuti, la stragrande maggioranza riguarda casi di detenzione arbitraria, imprigionamento e tortura, a cui si aggiungono episodi di omicidio, stupro come forma di tortura istituzionalizzata, sparizioni forzate, condanne a morte senza processo, oltre a violazioni della libertà di espressione, stampa e circolazione.
Come riporta Affari Internazionali “la Commissione, non avendo competenza giurisdizionale, ha deferito i più gravi ed evidenti casi di violazioni dei diritti umani alla magistratura per un procedimento penale trasmettendoli ad alcune Camere speciali. Queste Camere, appositamente istituite all’interno dei tribunali nazionali, avranno giurisdizione anche sui casi su cui le corti ordinarie si sono già espresse, presumendo ciò possa essere avvenuto in condizioni di mancata indipendenza del sistema giudiziario”
La relazione finale dei lavori è stata resa pubblica il 26 marzo scorso e la presidente della Commissione, Sihem Bensedrine ha rivendicato lo smantellamento dell’intero meccanismo della repressione e di aver identificato i perpetratori e gli autori, ma ha anche dichiarato che “la corruzione delle istituzioni statali aggrava le violazioni dei diritti umani e mina l’intero sistema democratico” In quella occasione è stata proposta la creazione di una commissione parlamentare per seguire l’evoluzione del processo e fatta una pubblica richiesta di perdono alle vittime da parte del presidente della Repubblica, in qualità di primo rappresentante dello Stato.
Una parte della società civile si è dichiarata un po’ delusa dai risultati prodotti dall’Istanza, soprattutto rispetto alle aspettative delle vittime, come del resto già successo in casi analoghi, tra cui Sudafrica e Cile. Sicuramente la commissione ha lavorato in un arco di tempo relativamente limitato e con scarsità di risorse, oltre che con una inadeguata collaborazione dei ministeri, in particolare quello degli Interni.
Il lavoro della Commissione in Tunisia, come altri processi di giustizia transizionale sperimentati in vari paesi, hanno tuttavia il merito di aver dato ascolto a moltissime vittime, oltre che a vari carnefici, dissotterrando verità liberatorie per alcuni e scomode per altri, provando così a seminare il terreno per ristabilire la coesione sociale e rafforzare lo stato di diritto.
Mediterraneo Downtown intende riconoscere lo sforzo e l’impegno civile della Presidente della Commissione e con il premio Mediterraneo di Pace 2019 a lei assegnato, sottolineare l’importanza di sostenere il fragile processo di transizione della Tunisia, unica primavera araba a provare ancora a tentare la via della democratizzazione.


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