La mia nipotina Cristina

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di  Michela Pavesi

cristina pavesiParlare di Cristina non è semplice, ogni volta si aprono voragini nel cuore.
Questa mia nipotina meravigliosa nasce a Treviso il 4 Settembre del 1968, è figlia di mio fratello maggiore: è la prima nipote. Rivedo ancora l’orgoglio di mia mamma, mio papà e di mio fratello Enrico (11 anni ancora da compiere). Per noi è una gioia immensa, mia nonna è orgogliosissima di essere diventata bisnonna: una bambina! una bambina di Luigi, il suo nipote prediletto! Non c’è niente di più bello! Luigi, alla sera, viene a casa nostra e festeggia abbondantemente con l’aleatico che aveva  conservato per questa occasione.
È felicità!
Cristina è, sicuramente come tutti i bambini, ma per me è speciale. Ha pochi mesi, mia cognata la porta a casa mia, siamo io e mia nonna. Lascia la carrozzina in giardino, c’è il sole e la bambina dorme. Io scendo per andarla a vedere, mi avvicino pian pianino e Cristina è là con i suoi grandi occhi pervinca spalancati.
Ecco è questa l’immagine che ho sempre dentro di me.
Cristina è così: occhi aperti al mondo.
Quando mio fratello, per lavoro, si trasferisce da Treviso a Conegliano, per noi, pur capendo che è una buona decisione, non è semplice: possiamo vedere meno Cristina.
Intanto passano gli anni e quella sua personalità decisa si fa sempre più evidente.
Ama lo studio, si interessa di arte, adora il teatro, ha sempre una gran fretta. È come se corresse sempre. In effetti è così. In inverno, con la gran sciarpa attorno al collo, pedala veloce per raggiungere i suoi amici. Non sente il freddo: corre.
Termina il liceo classico e si iscrive a lettere a Venezia. È brillante.
Verso la fine di Novembre del 1990, pochi giorni prima di morire, mi chiama:
“Zia vengo da te, perché voglio parlarti.”
Sono le grandi confidenze di una ragazza di 22 anni. Parliamo anche dell’Università e del suo progetto di tesi. Aveva già deciso che avrebbe continuato a studiare: sarebbe andata a Bologna al DAMS: voleva qualcosa che la preparasse al mondo dell’arte e dello spettacolo.
Era il suo sogno.
Un sogno che si interrompe alle 18,30 a Barbariga di Vigonza il 13 Dicembre del 1990.
Cristina muore a causa di quell’esplosione che squarcia il vagone postale del treno Venezia-Milano, il treno che era sul binario accanto.
Cristina non è ferita, ha alcune piccole escoriazioni sulle dita.
È bella con i suoi pantaloni neri e la camicetta bianca, i lunghi capelli biondi le incorniciano il viso.
I suoi occhi sono chiusi. Per sempre.
Il 13 Dicembre del 1991 accanto alla bara di Cristina mettiamo quella del suo papà: non ha resistito al dolore.
La mia vita cambia.
Ho davanti due possibilità: chiudermi nell’odio, nella rabbia e nell’incomprensione per un destino tanto tragico o cercare di far qualcosa perché Cristina non continui ad essere una vittima senza giustizia.
Non è semplice.
Il mio è un lungo cammino: ci sono tante cose da capire e tante cose da accettare.
Dentro di me è difficile calmare quella che io sento come una grande ingiustizia: a Maniero e a chi era con lui in quella rapina hanno dato tre mesi di carcere.
Tre mesi per la morte di Cristina, tre mesi.
E se i giudici avessero dato di più cosa sarebbe cambiato? Sarebbe stato come un cerotto in una ferita profondissima.
Quando ti accadono certe cose devi andare oltre, altrimenti ti perdi.
Cosa faccio per superare e per continuare a vivere e far vivere Cristina?
Scrivo.
Parlo di legalità, che é il primo passo verso la giustizia, ai ragazzi.
Sostengo “Il tappeto di Iqbal” una cooperativa che lavora a Barra, un quartiere di Napoli.
Lascio che il mio cuore sia in pace e che non nutra sentimenti di odio per nessuno, Lavoro e lavorerò sempre perché Cristina non sia dimenticata, vittima di una mafia autoctona, che è stata sconfitta, ma che è stata subito rimpiazzata da altre mafie.
Non mi posso fermare.

Da mafie


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