Business delle comunità? Cnca: “Salvini non conosce realtà e leggi”

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E’ polemica dopo le parole del ministro dell’Interno che annuncia una commissione d’inchiesta sulle comunità per minori. Liviana Marelli (Cnca): “Sarebbe l’ennesima indagine. I dati ci sono, manca supporto alle famiglie”. E sui soldi aggiunge: “Il giusto prezzo è di 100 euro, ma spesso si eroga meno. Molte cooperative sono in perdita”

 

ROMA – “Adesso comincio a mettere occhio al business delle comunità di bambini. Su tremila case-famiglia, tantissime che fanno il loro lavoro, ma ci sono soggetti che tengono in ostaggio migliaia di bambini. Andremo a smistarle con una commissione di inchiesta”. Lo ha detto il ministro dell’Interno Matteo Salvini parlando al Congresso internazionale delle famiglie di Verona. Parole sono subito rimbalzate nel mondo del Terzo settore, e che sono state fortemente criticate da chi di accoglienza ai minori si occupa da anni. In particolare, la referente per i minorenni del Cnca (Coordinamento nazionale della comunità di accoglienza) Liviana Marelli parla di “stortura non solo politica ma anche umana”.

Innanzitutto per Marelli parlare di “sequestro” è ignorare come funzionano i processi normativi in Italia. “Siccome è importare dire ai cittadine come vengono sprecate le risorse bisognerebbe sottolineare che quella di Salvini sarebbe l’ennesima indagine conoscitiva o commissione inchiesta sul tema fatta negli ultimi anni – dice a Redattore sociale -. Nel 2016 c’è stata quella della commissione Giustizia della Camera che non ha mai concluso i lavori, nel 2015 un’altra inchiesta era stata fatta dalla commissione Infanzia e adolescenza presieduta dall’onorevole Brambilla, nel 2012/2013 ce ne fu un’altra ancora. Ogni legislatura ha fatto un’inchiesta, o complessiva o specifica sul tema, quindi i dati ci sono e sono disponibili. Ma la cosa più grave è parlare di “sequestro”, il ministro è ignorante, nel senso che ignora, i processi normativi italiani – spiega Marelli -. Ad allontanare i minori dalle famiglie è un decreto del Tribunale dei minorenni, che viene fatto su una segnalazione che può essere dei servizi sociali, della scuola, dei vicini di casa, dei cittadini. Dopo un ampio processo di approfondimento, durante il quale le famiglie di origine hanno diritto alla difesa, si arriva in certi casi allontanamento e all’accoglienza in comunità. Non è la comunità che allontana o sequestra, i minorenno arrivano con un provvedimento del tribunale dei minorenni a seguito di un lungo processo. Tanto è vero che a volte la commissione Onu ci bacchetta proprio per i tempi lunghi della giustizia italiana, a volte i minorenni vengono allontanati troppo tardi”.

Il secondo punto riguarda il progetto di accoglienza che viene redatto per ciascun minore. “La famiglia oggi in Italia non è quell’oasi di amore e positività come vorrebbero far credere, ci sono famiglie inadeguate a occuparsi pienamente dei propri figli” aggiunge la referente del Cnca. Per ogni minore c’è un progetto di accoglienza in comunità che è redatto e su cui ha cui titolarità il servizio sociale dell’ente pubblico, “questo vale anche per le dimissioni, quindi il minore arriva in comunità dopo un iter, ci resta se il progetto è congruo, e il tribunale per i minorenni è tenuto a controllare per legge, il procuratore della repubblica in base alla legge 149 del 2001 fa visite periodiche – precisa -. Si sta in comunità se serve e non è la comunità se può decidere se dimettere o trattenere un minore”.

Marelli tiene a precisare anche i dati, perché non tutti i minori presenti nelle comunità di accoglienza sono “adottabili”. “Secondo uno degli ultimi dati disponibili del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, al 31 dicembre 2014 i minori in comunità sono 12.400, di questi solo 779 hanno la dichiarazione di adottabilità – precisa – Questo vuol dire che non tutti i bambini e ragazzi ( il 70 per cento sono adolescenti e predealoscenti) sono adottabili. Molti hanno una famiglia, a volte fragile, a volte inadeguata, a volte maltrattante. Se non c’è il decreto di adottabilità mantengono la famiglia di origine, seppure questa è in difficoltà. Dire che siano tutti adottabili vuol dire non conoscere la realtà e le norme, vuol non avere nessun rispetto per la fragilità delle famiglie – aggiunge -. Sono le comunità che lavorano con le famiglie, spesso cercando di renderle adeguate a farsi carico del loro figlio, non possiamo avere due pesi e due misure”. La responsabile minori del Cnca ricorda che la “Cai (Commissione adozioni internazionali, ndr), la cui responsabilità è del ministro Fontana non si riunisce, motivo per cui non si riescono a sveltire i processi. Non c’è sostegno alle adozioni difficili – aggiunge -. I ragazzi in comunità che possono andare in adozione spesso sono ragazzi molto complicati, non è raro che ci siano in comunità anche ragazzi adottati che ritornano in comunità perché l’adozione, come si dice in gergo, è fallita. Non è tutto così semplice: i criteri per rendere sostenibili le adozioni non è semplicemente dire che ci sono i ragazzi in comunità, ma bisogna innanzitutto sostenere le famiglie adottive, prevedendo anche forme di sostegno economico, di rete. Se questi 700 ragazzi non trovano famiglia è perché a volte le famiglie da sole non ce la fanno.  Spesso si tratta di ragazzi di dieci, dodici anni, la loro adozione è difficile”.

Infine sul business Marelli ricorda che “i bilanci delle cooperative sociali che gestiscono le comunità sono pubblici. Venite e vedete, le rette non sono di 400 euro come qualcuno dice – spiega -. A dicembre del 2017 sono state emanate dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali le linee di indirizzo: si tratta di  un documento fatto bene ma spesso ignorato. In quelle linee di indirizzo si parla anche di giusto prezzo in relazione alla qualità dell’accoglienza che viene richiesta. Il giusto prezzo per l’accoglienza del minore è intorno ai 100 euro al giorno, ma spesso le comunità hanno rette inferiori a questo importo e chiudono in perdita. E’ puramente ideologico continuare a battere su questo punto”. Nei 100 euro pro capite pro die rientrano i costi complessivi della case famiglia: dal costo del lavoro al vitto all’abbigliamento fino ai servizi di base. “Un educatore professionista, con laurea magistrale prende intono ai 1200 euro, facendo anche le notti – conclude Marelli -. Nelle 100 euro ci rientra tutto: le comunità sono case nelle case, hanno 10 ragazzi quelle educative, 7 quelle familiari. Alcune rette, non solo nel meridione, sono sotto questo importo e le cooperative sono spesso in perdita. Bisognerebbe smettetela di dire stupidaggini. Questo è negativo nei confronti delle famiglie ed è umiliante nei confronti dei ragazzi. Ed è una stortura non solo politica ma anche umana”. (Eleonora Camilli)

Da redattoresociale

 


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