“Apriamo i  porti!”. Il selfie con Papa Francesco di don Nandino Capovilla, messaggero di accoglienza

1 0

Il selfie con Papa Francesco che tiene in mano la spilla con la scritta “Apriamo i  porti!” pubblicato sul suo profilo facebook ha fatto il giro del mondo, diventando virale. Ma chi è don Nandino Capovilla? Un messaggero di accoglienza.  Non quella sbandierata, punto e basta. Ma quella concreta che si materializza in fatti e azioni. Parroco della chiesa della Resurrezione della Cita, a Marghera alle porte di Venezia, don Nandino ha sempre attuato così, sul campo, l’insegnamento del Vangelo. E a chi lo contesta, accusandolo di fare politica, ribatte che, con il suo agire, tenta solo di dar gambe al messaggio di Cristo.

Sin dal suo arrivo nell’ottobre 2013 a Marghera nella parrocchia in cui la percentuale di residenti migranti supera il 60 per cento, ha dimostrato di volersi aprire al dialogo. Qualche ora prima dell’insediamento in parrocchia, avvenuto alla presenza del Patriarca Francesco Moraglia, l’ex-coordinatore nazionale di Pax Christi Italia ha organizzato “La lampada della convivialità”, una cerimonia in una sala di preghiera bengalese della Cita tra i rappresentanti delle comunità religiose, cattolici fianco a fianco di musulmani. Da allora, il suo lavoro è continuato in quella direzione fino alla “pacca sulla spalla” giunta, qualche giorno fa, dal Papa. Venerdì scorso appunto, Bergoglio partecipava al meeting “Liberi dalla paura”, promosso dalla Fondazione Migranti della Cei e dalla Caritas a Sacrofano in provincia di Roma ed è stato colpito dalla spilletta “Apriamo i porti” che don Nandino voleva donargli. Di qui, l’idea del Pontefice di farsi fare una foto mentre mostrava la spilla e rilanciava il messaggio di accoglienza che “Apriamo i porti! Certo che è giusto. Cominciamo a ringraziare i rifugiati! Invece noi, – ha detto il Papa a don Nandino – rinunciamo all’incontro e questo è disumano. La paura è l’origine di ogni schiavitù e di ogni dittatura. Sulla paura del popolo cresce la violenza dei dittatori”.

Il sorriso di don Nandino è contagioso. Chi lo conosce sa che, quando ti guarda con gli occhi pieni di voglia di fare, si fatica a non farsi coinvolgere dal suo entusiasmo. E’ nata sulla scia di quell’entusiasmo la “Colazione della domenica”: dal 2013, decine di volontari, ogni domenica, si ritrovano nella parrocchia di via Palladio e preparano la colazione a un centinaio di senza dimora. Una tazza di latte, due biscotti e il calore di un sorriso. Una volta all’anno, la colazione si prolunga in un’uscita fuori porta: si sale in pullman e si raggiunge una meta come parco Fenderl a Vittorio Veneto. “Da sempre e in tutto il mondo, – non si stanca di ripetere il parroco della Cita – la città è proprio la sfida del vivere insieme componendo quel complesso mosaico che è la condizione dell’uomo e in particolare partendo da chi più che “povero” è stato “impoverito” da questo nostro sistema di vita”. E ancora il giovedì sera la canonica si trasforma… “Ragazzi e ragazze che hanno scoperto questa cosa bella di accogliere, arrivano per condividere la cena con profughi e richiedenti asilo della case accanto. Si tratta di una cosa molto semplice, destrutturata, che abbiamo chiamato “La casa di Amadou” perché tutti hanno bisogno di una casa, di persone con cui stare in semplicità e questo innesca qualcosa di molto profondo”. Anche di raccontare anche esperienze dure, durissime.

Come quelle che don Nandino, due anni fa, ha raccolto nel libro “Non sapevo che il mare fosse salato”, scritto a quattro mani con Betta Tusset (edizioni Paoline). “Ci hanno letteralmente lanciati dentro una barca. Circa venti in un gommone. Quattro giorni di viaggio. Niente acqua. Niente cibo. A un certo punto ho bevuto acqua di mare. Non sapevo che il mare fosse salato”. Così ricorda, nel libro, Festus, uno dei cinque ragazzi giunti dall’Africa in Italia attraverso il Mediterraneo. Spesso si sono lasciati alle spalle guerra e povertà, trovandosi nel nostro Paese, con la sua malfidenza. E, a Marghera, si sono visti spalancare le porte della canonica della Cita, quelle del parroco e di cinque donne, tra cui Betta, che li aiutano a vivere una vita più dignitosa.

Articolo21 Veneto


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21