Pesaro, riflessioni e ipotesi sull’omicidio Bruzzese

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Da quanto si è potuto evincere dalla cronaca di questi giorni, le cose che si sanno sull’omicidio di Marcello Bruzzese avvenuto a Pesaro il giorno di Natale sono poche e circostanziate. Fratello del pentito Girolamo Biagio Bruzzese, era stato trasferito nelle Marche con la sua famiglia poiché sotto protezione dello Stato. Sebbene in molti articoli si sia scritto che i Bruzzese non facessero parte di una specifica cosca di ‘ndrangheta erano lo stesso legati alla famiglia Crea, in particolare al boss Teodoro Crea di Rizziconi sulla Piana di Gioia Tauro in Calabria. Nel 2003 Girolamo Bruzzese aveva attentato alla vita del boss e poi si era consegnato alle forze dell’ordine. Una volta che questi fu sopravvissuto, Bruzzese cominciò a collaborare con la Giustizia contribuendo a svelare dinamiche importanti sulle attività delle ‘ndrine nella Piana. Dettagli sfociati nell’operazione “Saline” che portò alla condanna, definitiva l’anno scorso, sia di Teodoro Crea rinchiuso al 41 bis in regime di carcere duro, sia per i suoi figli Giuseppe e Domenico. Tuttavia la mattanza era già iniziata ben prima che la Suprema Corte si pronunciasse. Se c’è una cosa che ci ha insegnato la strage di Duisburg è che la vendetta, nel linguaggio mafioso, va servita fredda. E così fu: in circostanze mai del tutto chiarite, prima venne ucciso il suocero di Marcello Bruzzese, Giuseppe Femia. Successivamente il Bruzzese, per la sua incolumità, fu trasferito in Francia per poi rientrare a Pesaro solo tre anni fa.  Egli era già sfuggito a un attentato nel 1995, in cui al suo posto morirono il padre e il cognato sotto il fuoco di Elio Ascone, suo rivale, la cui famiglia è vicina a quella dei Bellocco di Rosarno. Poche ore dopo nelle campagne di Rizziconi fu rinvenuto il cadavere del padre, Francesco Ascone.

A Pesaro Bruzzese viveva in un appartamento di proprietà del Ministero dell’Interno sottoposto a un sistema di sorveglianza, sembra avesse richiesto di allontanarsi dal programma di protezione. Dopo l’omicidio la sua famiglia è stata trasferita in località segrete. La Direzione Distrettuale Antimafia (Dda) di Ancona insieme alla Procura pesarese hanno aperto un fascicolo contro ignoti per omicidio volontario con aggravante mafiosa.

Andare a ritroso non è semplice e tante congetture potrebbero palesarsi sulla strada, a noi il compito meno agevole di fare ipotesi sulla base di fatti documentati.

Ad esempio, i Bellocco sono considerati una delle famiglie di ‘ndrangheta più potenti nella Piana. Fu lo storico boss Umberto a battezzare in carcere Giuseppe Rogoli che poi avrebbe fondato la sacra corona unita, la quarta mafia pugliese.

Nel 2003 due operazioni distinte portarono all’arresto di due personaggi che potrebbero essere di nostro interesse. In settembre estradato da Toronto, in Canada, perché ricercato nell’operazione “Crimine” fu arrestato Carmelo Bruzzese, ritenuto dagli inquirenti  capo della locale di Grotteria nella Locride. In Canada era stato intercettato a colloquio con il boss Giuseppe Commisso, dell’omonima cosca, con cui pianificava strategie comuni e con cui, secondo i magistrati, partecipò ad alcune riunioni in cui venne nominato capo crimine Domenico Oppedisano. Insomma, uno che contava sia per la ‘ndrangheta autoctona sia per le sue ramificazioni al Nord Italia e oltreoceano.

Altro personaggio arrestato in quell’anno, un mese dopo, fu a Tolosa, in Francia, Gioacchino Ascone, dell’omonima cosca legata ai Bellocco, ricercato nell’operazione “All Inside 3” ed estradato con mandato europeo.

Sebbene nella relazione del 1 semestre del 2017 la Direzione Investigativa Antimafia (DIA) nelle Marche abbia rilevato una presenza di ‘ndrine più cospicua, diversamente dai cinque anni precedenti, nell’area di Macerata la presenza degli Ursino-Ursini, nella zona di Fermo e di Macerata la ‘ndrina Farao-Maricola, mentre a San Benedetto del Tronto i Gallace-Gallelli, l’area di Pesaro sembrerebbe esserne priva; non ci è possibile dunque parlare di una massiccia presenza mafiosa sul territorio, essendo questo o sembrando questo un caso isolato, semmai frutto di una ritorsione antica. Una punizione feroce che però avviene, come scriveva Falcone, “nell’avvio di una continuità storica e nel rispetto delle regole tradizionali”.

Se è vero che non possiamo puntare il dito contro il primo sospetto, le cui responsabilità dovranno essere accertate dalle forze dell’ordine e dalla magistratura, non possiamo neanche sottovalutare al vaglio della seguente ipotesi lo storico incontro che gli ‘ndranghetisti ebbero con i camorristi, nella ricerca di un eventuale legame, avvenuto in principio in quel bagno penale di Favignana al cospetto del mito picaresco.

Il pentito, tradendo con la parola l’organizzazione, ha di fatto accettato che le sue “carni diventassero cenere”. Sgarro accentuato sicuramente dal tentativo di uccidere Teodoro Crea. Stando alle regole della Società, mentre il guadagno che se ne ricava dalla mattanza è il potere, il vantaggio resta fine a se stesso. Il gioco dell’umiliazione ha pertanto raggiunto l’apice nello sfogo dei due killer che, a volto coperto, hanno riversato una trentina di proiettili calibro 9 sul corpo di Marcello Bruzzese. Atteso mentre parcheggiava l’auto nel centro storico, in una via a senso unico, l’agguato è stato consumato in fretta. I due sicari soddisfatti per aver ottemperato la richiesta del mandante nel momento scelto e per questo propizio, hanno rivendicato l’offesa; un rancore taciuto ma mai represso.

Difficile che sia stato casuale vista la mole di bossoli rinvenuti dagli inquirenti sull’asfalto, difficile vista la strategia di attacco messa in scena. Qualcosa deve essere andato storto, per parafrasare il commento del Procuratore Nazionale Antimafia Federico Cafiero De Raho.

Quale sarà stata la trama? E’ emblematico che, data la strategia di sommersione nella quale la ‘ndrangheta si è calata fin dagli anni Ottanta, l’intenzione furiosa qui perpetrata impunemente in una platea, ha trovato il suo esaurimento nel sangue. Lasciando il corpo freddo in terra, i killer non hanno mostrato pietà né rimorso, ma anzi se possibile, hanno rimarcato nel vanto l’oltraggio pubblico allo Stato. Al popolo infine il compito, non arduo, di issare la forca nell’etere: commenti gaudenti hanno infatti riempito in poche ore il web, sconcerto per l’atto omicida unito al sollievo che un’altra vita fosse stata interrotta. Non coperta dall’anonimato e per questo suscettibile al giudizio.

 

Fonte: Informazione contro le mafie


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