Venezia 2018. La festa del Lido alle 75 primavere, è stata particolarmente vibrante

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Come avrebbero esordito gli elzeviristi di un tempo, “La vecchia signora non dimostra i suoi anni”. In questo caso l’interessata è la mostra d’arte cinematografia di Venezia, ancora corteggiatissima nonostante le molte stagioni e in grado di sedurre chiunque si esponga alle sue malie per essere prescelto e incoronato. Quest’anno il ruggito del Leone è risuonato alto almeno per due film, The Ballad of Buster Scruggs, il western eterodosso dei fratelli Cohen, e Capri-Revolution il miraggio libertario di Mario Martone. E la festa del Lido giunto alle 75 primavere, è stata particolarmente vibrante. Ma ciò che rimane, spenta l’eco delle cronaca, sarà un libello prezioso intitolato Happy 75  Breve Introduzione alla Storia della Mostra  Internazionale d’Arte Cinematografica, già ambita preda di collezionisti. E’ stato scritto da Peter Cowie, classe 1939, studioso inglese di cinema laureato a Cambridge e autore di decine di monografie su registi e film dell’ultimo mezzo secolo, da Ingmar Bergman a Francis F. Coppola. La traduzione in italiano è merito di Lorenzo Codelli, giornalista cinematografico finissimo, fondatore della Cineteca del Friuli a Gemona, collaboratore di riviste internazionali (Positif), frequentatore di Festival fin dalla prima età della ragione, ovunque nel mondo e per gran parte dell’anno, e infine archivio vivente di ogni segreto della Settima Arte.  Sono 175 pagine arricchite da un buon corredo di fotografie e illustrazioni storiche, che ripercorrono il Festival di Venezia dalla sua nascita, in quel lontano 1932, X anno dell’era fascista, in cui la nostra nazione viene presentata da Cowie con serena obbiettività:

“Nel 1932 vi furono parecchie iniziative che contribuirono ad accrescere l’orgoglio dell’Italia in rinascita. Vennero aperti alcuni tratti di autostrada, il Rex fu riconosciuto il piroscafo più veloce, e l’Augustus la nave a gasolio più grande. La Balilla Fiat venne lanciata nell’aprile di quell’anno e a novembre fu inaugurato a Roma il Foro Mussolini, l’attuale Foro Italico.”

Nella Biennale d’Arte che a Venezia già andava a gonfie vele (gli artisti facevano a gara per esibire le proprie opere all’esposizione biennale di pittura e scultura e ai Giardini nei pressi dell’Arsenale erano già transitati Monet, de Chirico, Rodin), il Duce lungimirante volle inserire anche il cinema,  sua autentica passione, considerato, come è noto, “l’arma più forte”. L’impresa fu affidata a S.E. il conte Giuseppe Volpi di Misurata, tra gli uomini più potenti dell’epoca, per quattro anni Governatore della Tripolitania, Ministro delle Finanze di Mussolini, Presidente della Biennale e socio fondatore della CIGA (Compagnia Italiana Grandi Alberghi), che al Lido, già sede del celebre Hotel de Bains, meta prediletta di Thomas Mann Diaghilev e Henry Ford, aveva costruito il non meno lussuoso Excelsior, dotato di un prestigioso e comodo porticciolo di attracco.

La prima edizione fu subito un successo, così riferito dallo stesso Volpi di Misurata:

“La 1a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, preparata rapidamente con l’ausilio dell’Istituto Internazionale della Cinematografia Educativa, portò davanti al pubblico delle Biennali una quarantina di pellicole. Le proiezioni ebbero luogo di sera sulla terrazza a mare dell’Excelsior: due film in media per sera, per venti sere consecutive. Vi fu un referendum tra il pubblico, ma non vennero assegnati premi. Ottimo successo di critica, grande risonanza internazionale. Pubblico serale intorno alle mille persone; complessivamente per tutta la Mostra: venticinquemila spettatori. Partecipazione straniera: sette nazioni. L’Italia partecipò con un solo film. Le proiezioni serali iniziavano alle 21.15 «precise», di fronte a una platea di spettatori in abito da sera comodamente seduti su poltrone di vimini resistenti alle intemperie”.

Tra gli intervenuti Luis Lumière in persona, l’inventore stesso del cinema! A conclusione della serata inaugurale con la proiezione de Il dottor Jekyll nei saloni dell’hotel, si svolse una grande festa da ballo. Gli uomini, che mascalzoni… di Mario Camerini, fu il primo film italiano nella storia della Mostra.

I ricevimenti al Grand Hotel des Bains venivano curati personalmente dal duca e dalla duchessa Visconti di Modrone (genitori del futuro regista Luchino Visconti). Messaggi di sostegno giunsero dai dirigenti degli studios hollywoodiani, da Adolph Zukor della Paramount, Carl Laemmle della Universal e Nicholas Schenck, presidente della Metro Goldwyn Mayer.

Erano già ben delineati tutti gli elementi di attrazione: suspense, romanticismo, mondanità!

La manifestazione decollò ad ali spiegate, e ripercorrerne oggi anno dopo anno le vicende è davvero un’emozione singolare, oltre che molto istruttiva in quanto fedelissima radiografia del nostro Paese. Un’occhiata ai titoli della prima edizione? C’è da sbalordire: oltre a Il dottor Jekyll di Rouben Mamoulian, A me la libertà di René Clair, La terra di Aleksandr Dovženko, Frankenstein di James Whale, Grand Hotel di Edmund Goulding, Pioggia di Joris Ivens, La bella maledetta di Leni Riefenstahl, Il congresso si diverte di Erik Charell, La beffa della vita di Julien Duvivier, Il campione di King Vidor, L’urlo della folla di Howard Hawks. E ancora opere di autentici campioni quali Ernst Lubitsch, Anatole Litvak, Maurice Tourneur e Raoul Walsh.

Ciò che accadde nei successivi 75 anni fino a ieri, il lettore lo scoprirà divorando le pagine di questo piccolo libro, già di culto, che ci trasporta nel flusso del tempo a bordo di un toboga sfrenato.  Pizzichiamo qua e là. Nel 1934 Estasi di Gustav Machatý scioccò il pubblico veneziano per le scene in cui Hedy Lamarr nuotava nuda e faceva sesso (suggerito tramite i volti dei due amanti in primo piano). Il giovane Michelangelo Antonioni scriveva: «Nel giardino dell’Excelsior, quella sera, si udiva il respiro degli spettatori attentissimi, si udiva un brivido correre per la platea». Tra le Medaglie d’Oro assegnate dall’Associazione Nazionale Fascista dello Spettacolo spicca quella a Katharine Hepburn per l’interpretazione di Piccole donne di George Cukor.

Un clima di euforia e di glamour regnò nella Mostra del 1935. Gli hotel registrarono il tutto esaurito. Tra gli ospiti, Josephine Baker che sfilò insieme ad altri attori di Hollywood del calibro di Douglas Fairbanks Sr., Adolphe Menjou, Lilian Harvey. Per la seconda volta in tre anni si sperò, malgrado le esperienze precedenti, che Greta Garbo facesse capolino. Ma come al solito la diva non comparì, neppure quando ad Anna Karenina di Clarence Brown venne assegnata la Coppa Mussolini per il migliore film straniero. Elsa Maxwell, la leggendaria organizzatrice di party, curò i ricevimenti al Caffè Florian in Piazza San Marco. L’appuntamento cinematografico veneziano divenne un evento mondano irrinunciabile.

Gli apparecchi di proiezione e gli impianti sonori vennero forniti dalla Cinemeccanica di Milano, che utilizzava un nuovo sistema di amplificazione ottimizzata, creato dalla compagnia Alocchio e Bacchini. Nel 1937 si rese impellente la necessità di edificare una nuova sala cinematografica. Si procedette con sorprendente rapidità: il Palazzo del Cinema aprì i battenti nell’agosto di quello stesso anno per la quinta edizione della Mostra. Il Palazzo somigliava esattamente a una vecchia radio, con tanto di fianchi arrotondati! Concepita e costruita in meno di sei mesi da Luigi Quagliata, la nuova Sala Grande era in grado di accogliere milleduecento spettatori:

«La sala ariosa e chiara a contorno trapezoidale, con raccordi convessi verso il proscenio e il lato posteriore leggermente curvo è, soprattutto, comoda: ogni posto ha dimensioni tali che la circolazione fra una fila di poltrone e un’altra è agevolissima. Due grandi riflettori convessi dei suoni, continuazione effettiva degli alto-parlanti, s’inquadrano nell’intera composizione architettonica della sala: ogni interferenza dei suoni è eliminata, e allargata al massimo la zona di audizione diretta».

A Luciano Serra, pilota di Goffredo Alessandrini andò il premio per il migliore film italiano, mentre quello per il migliore film straniero venne assegnato a Olimpia di Leni Riefenstahl, un film che esaltava l’ideale nazista della «forza tramite la gioia». Fu giudicato irrilevante il fatto che si trattasse di un documentario, una categoria non candidabile in base ai criteri della Coppa Mussolini. Prima che la giuria annunciasse il proprio verdetto venne consultato persino Joseph Goebbels; l’alleanza tra Mussolini e Hitler, le leggi razziali, le aggressioni militari tedesche stavano precipitando il mondo verso la guerra, e Venezia perdeva d’un tratto gran parte dei consensi internazionali, a cominciare dalla Francia e dagli Stati Uniti. Si iniziò a parlare di altri ‘festival’ da opporre alla Mostra, fu messo in cantiere un evento simile in Costa Azzurra, a Cannes. Ma dovevano prima passare gli anni bui del conflitto che insanguinò il mondo. Arrivata la pace, la rinascita si rivelò faticosa. Le proiezioni delle edizioni postbelliche venivano organizzate al Cinema San Marco; la produzione italiana riuscì a tenere alta la testa, con divi di casa come Anna Magnani di L’onorevole Angelina e Roberto Rossellini di Paisà; tra gli stranieri brillarono le figure di Marcel Carné, Orson Welles, Henri Cluzot.

Dopo il ’50 si riapre l’Arena; dilagano le produzioni americane e si scoprono cinematografie sconosciute: con Rashomon di Akira Kurosawa esplode il fenomeno artistico del cinema giapponese. Alla mostra compaiono i nuovi autori di casa nostra, Fellini (I Vitelloni), Visconti, Antonioni; la rivalità insanabile tra le fazioni contrapposte condusse persino a risse e scazzottate; nel ’56 per la contesa tra  La Strada e  Senso, dovette accorrere la polizia.

Gli anni seguenti  segnarono l’apice della popolarità della Mostra, meta ambita di tutti i cineasti più acclamati del mondo, vetrina prediletta delle Major Company americane e naturalmente della nostra fervorosa Hollywood sul Tevere. Fino alla contestazione del ’68 e ai successivi dieci anni di purgatorio, in cui furono aboliti i premi e la rassegna perse quasi completamente il suo glamour. Poi, sotto la guida di Carlo Lizzani nel ‘79, la manifestazione risorge, si arricchisce di retrospettive culturali straordinarie e recupera terreno nella competizione internazionale. Alla direzione si avvicenderanno Gian Luigi Rondi, Guglielmo Biraghi, Gillo Pontecorvo, che gettano un solido ponte fino ai nostri giorni. Una stagione fertile,brillante, in cui la presidenza di Paolo Baratta, e le direzioni alterne di Marco Müller e Alberto Barbera, hanno ricondotto il gioiello della Serenissima agli originari livelli di eccellenza. Una scintillante cristalleria per l’Italia intera, fragile e preziosa, da preservare con sagacia e delicatezza.


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