Una parola di troppo (mafia) nel necrologio

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di Dario Montana

Se la mafia non esiste allora non puoi neanche pubblicare un necrologio per ricordare alla collettività che tuo figlio, il commissario Beppe Montana, capo della sezione catturandi della squadra mobile di Palermo, è stato ucciso dalla mafia. E soprattutto non puoi affermare di voler rinnovare ogni disprezzo alla mafia e ai suoi anonimi sostenitori. Questo è quanto successo a mio padre, tre mesi dopo l’omicidio di Beppe.
La Sicilia, di Catania, è il giornale che ha respinto il necrologio presentato da papà su espressa disposizione del direttore/editore Mario Ciancio Sanfilippo, come riferito dall’addetto allo sportello, che quando ha letto il testo: “La famiglia con rabbioso rimpianto ricorda alla collettività il sacrificio di Beppe Montana  – commissario P.S. – rinnovando ogni disprezzo at mafia e suoi anonimi sostenitori”, ha detto che avrebbe dovuto chiedere l’autorizzazione: “Sa, conosco il mio mestiere”.
Ritornando dopo un po’, con orgoglio e con un sorriso beffardo che sembrava dire: “Ha visto, avevo ragione io, certe cose qui non si possono dire”, afferma: “Avevo ragione, ho parlato personalmente con il direttore Mario Ciancio. Gli inserzionisti non devono fare apprezzamenti, mi ha risposto, a combattere la mafia ci pensa il giornale.”
Oggi, quell’episodio è oggetto, assieme a tanti altri, di un processo per concorso esterno con l’associazione mafiosa Cosa nostra nei confronti di Mario Ciancio Sanfilippo, perché avrebbe messo a disposizione dell’organizzazione criminale la propria attività economica, finanziaria ed imprenditoriale: editoria, emittenza televisiva, attività edilizia legata alla realizzazione di vari centri commerciali, centri turistici, aeroporti, posteggi, altre lottizzazioni, società alle quali partecipavano soggetti legati ad organizzazioni criminali, e per aver affidato i lavori per la realizzazione dei progetti e affari da lui promossi ad imprese mafiose.
Da quanto emerge dalle accuse, l’oggetto del processo in corso è proprio la sede di quel giornale, il luogo nel quale sono state decise le più importanti ed invasive scelte urbanistiche della città di Catania.
Tutto questo è avvenuto nel silenzio generale di un’intera classe politica compiacente, opposizione di ogni colore compresa.
Oggi io e mio fratello siamo costituiti parte civile in quel processo che pochi avrebbero voluto celebrare ma che potrebbe, invece, svelare rapporti indicibili e inconfessabili di un’intera classe dirigente desiderosa di fare affari con le mafie e di assicurarsi le proprie rendite di posizione.
La nostra costituzione di parte civile è per noi un dovere morale anche nei confronti di nostro padre, che si ribellò a quel rifiuto così ingiusto ed offensivo denunciandolo su tutti gli organi di stampa ed anche dal palco del Teatro Lirico di Milano, in occasione di uno dei primissimi incontri organizzati dal Circolo Società Civile, alla vigilia del maxiprocesso, che per la prima volta ha dato voce ad alcuni familiari delle vittime della criminalità organizzata: Nando Dalla Chiesa, Claudio Fava, Rosetta Giaccone e Saveria Antiochia.
Come Beppe, siamo certi che le mafie si possono sconfiggere, basta volerlo. Deve cambiare la cultura; per questo è fondamentale il ruolo dell’informazione e della formazione dei giovani; non vogliamo accettare l’idea di vivere in una terra dove al detto “non vedo, non sento e non parlo…” deve essere ahimè aggiunto, “…ometto e non pubblico”.

(6 – continua)

Da mafie 


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