Quando le parole sono un ponte. A Trieste la seconda edizione di Parole O_Stili

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Siamo davanti a una guerra civile verbale: non fa giri di parole Rosy Russo, introducendo ieri a Trieste la seconda edizione di Parole O_Stili, il progetto di sensibilizzazione contro la violenza nelle parole, partito nel febbraio del 2017 e che si rivela ogni giorno più necessario. Russo ricorda alcune parole che hanno occupato la scena nelle ultime settimane: parole come “pacchia”, con cui il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha descritto la condizione degli immigrati, che hanno smesso di essere persone e sono diventati bestie, parole come “La mafia ha ucciso il Mattarella sbagliato”. E se è vero che, come sta scritto nel Manifesto della Comunicazione non ostile, “Anche il silenzio comunica”, è stato di una violenza inumana il silenzio attorno all’uccisione del sindacalista Soumayla Sacko.

Questo livello di scontro senza precedenti si chiama fascismo. Lo spiega la scrittrice Michela Murgia nella sua lectio magistralis: il fascismo non è un’opinione, è un metodo, e ha una sola modalità per porsi, deve opporsi.

È troppo tardi per provare a costruire ponti che ci aiutino a saltare questi muri, come direbbe Alex Langer? Per smetterla di considerare l’avversario un nemico, per smetterla di banalizzare le idee trattando gli altri come stupidi e imparare a semplificarle togliendo il superfluo per farsi comprendere da tutti? I promotori di Parole O_Stili pensano di no e in questi 16 mesi hanno messo in campo creatività, energie, competenze per contrastare il linguaggio dell’odio in Rete e non solo: il Manifesto (http://paroleostili.com/manifesto/) è stato sottoscritto da migliaia di persone, grazie a una convenzione con il Miur è stato consegnato a 30 mila studenti, è stato fatto proprio e diffuso da sindaci, rettori, politici di tutti gli schieramenti, amministratori delegati, è stato tradotto in 21 lingue (compreso l’emojitaliano), declinato in 120 schede didattiche, trasformato in 10 racconti presentati al Salone del Libro, finito su Topolino. Ma non basta. Perché anzi i dati della ricerca di SWG su Hate Speech e Fake News condotta tra cittadini, lavoratori e dirigenti ci presentano una tendenza all’assuefazione e un calo dell’attenzione e della consapevolezza. Per questo oltre 1000 esperti si sono dati appuntamento a Trieste il 7 giugno ispirati dal quinto principio del Manifesto “Le parole sono un ponte”. Ai vari giornalisti, influencer, scrittori, docenti che sono intervenuti ai panel sui temi della disinformazione, del fact-checking, dell’educazione, è stato chiesto di condividere una parola ponte: “Mediterraneo” è stata quella scelta dal giornalista della Stampa Iacopo Iacoboni, “diversità” quella della senatrice Valeria Fedeli, già ministra della Pubblica Istruzione, “interculturalità” la preferita della giornalista Maria Concetta Mattei, “cucina” quella della chef Antonia Klugmann. E c’era anche Agnese Moro (nella foto) ieri a Trieste: la parola che ha proposto ai partecipanti è stata “disarmarsi”. Dai pregiudizi, dalla certezza di sapere le cose, dai comparativi. Per andare incontro agli altri. Anche se questi altri sono coloro che hanno ucciso tuo padre. Perché i ponti che funzionano, che collegano sul serio, sono solo quelli impastati d’umanità.


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