Libero dopo 22 giorni, il primo pensiero di Mauro Donato è per i disperati della Balkan route

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Mauro ha il volto ancora provato e lo sguardo confuso di chi è stato isolato dal resto del mondo per 22 giorni. Entra nella sede della Federazione della stampa indossando lo stesso cappello con cui lo abbiamo conosciuto attraverso la sola foto che lo ha raccontato in questi giorni di prigionia in Serbia. Porta con se anche lo stesso interrogativo che lo ha accompagnato sempre in questa vicenda kafkiana: perché. “Sono stato costretto a formare un verbale in cirillico. Non avevo idea di cosa ci fosse scritto, ancora adesso non so con quale capo di imputazione sono stato arrestato.” Parla quasi sottovoce Mauro e si emoziona quando racconta del momento in cui ha capito che davvero lo stavano liberando. La voce gli trema per un momento poi si ricompone. Andrea Vignali, il suo compagno di viaggio, è sempre al suo fianco e lo sostiene con le risposte che Mauro non conosce: “lo hanno arrestato per rapina aggravata dall’uso della violenza” sostiene con voce ferma.

Il loro pensiero va alle persone che volevano raccontare attraverso le foto. Quell’insieme di persone che aspettano da anni l’occasione di riprendere il viaggio verso l’Europa, scappate da fame, guerra e persecuzione e rimaste bloccate in Serbia dai muri alzati sui confini del nostro continente. Mauro ricorda un paio di scarpe appartenute ad Ali, un ragazzo afghano che aspetta da due anni di partire, chiuso in un centro al confine tra Serbia e Croazia. La foto di quella scarpa è l’immagine che si porta dietro di questa esperienza kafkiana. Era la prima volta che partivano per la Serbia per documentare le difficoltà di chi ancora oggi che ci dicono sia chiusa, percorre la rotta dei Balcani.

Nella sala al primo piano della FNSI ci sono tutte le persone che hanno lavorato per la sua liberazione: la tenace e coraggiosa avvocato Alessandra Ballerini che è già proiettata verso un nuovo obiettivo, dice che si “ora Mauro è libero, ma ce ne sono tanti altri ancora in prigione” come Denis Cavatassi, condannato a morte in Thailandia per omicidio dopo indagini superficiali e un processo farsa e in attesa di giustizia da sette anni. Battaglie che condivide con il senatore Luigi Manconi ora responsabile dell’Ufficio anti discriminazioni della presidenza del consiglio e Beppe Giulietti Presidente della Fnsi che invita tutti i giornalisti presenti a ripercorrere la strada di Mauro verso i confini d’Europa, a ripartire da quelle fotografie di uomini, donne e bambini che evidentemente hanno dato fastidio e che hanno portato Mauro in carcere. A difesa della libera informazione c’erano il presidente dell’ordine Carlo Verna ed il segretario della FNSI Raffaele Lorusso, a difesa del lavoro di chi va a raccontare i posti che nessuno guarda.

I dettagli di quella inchiesta non li sappiamo e non si possono divulgare. Mauro è ancora sotto accusa, scarcerato ma in attesa di un giudizio definitivo. Sappiamo che la sua fotografia è stata mostrata a dei ragazzini afghani che denunciavano una aggressione a scopo di rapina, la foto del passaporto di Mauro vecchia di anni e che non corrisponde a come è adesso. Sappiamo che quei ragazzini lo hanno scagionato completamente. Sappiamo che la rapina a colpi di coltello aveva fruttato pochi spiccioli, l’equivalente di pochi euro. Sappiamo che questa era la prima volta che andava in Serbia e che le fotografie e l’attrezzatura non sono stati sequestrati.

Sappiamo che Mauro ha fatto 22 giorni di carcere, in una cella di “4 passi per 5”, condivisa con quattro energumeni che parlavano solo serbo, in cui la luce si spegneva alle sette di sera.

Una apnea che sembrava interminabile, fino a ieri pomeriggio.


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