Macerata, “fieri di accogliere, ma la caccia al nero fa ancora paura”

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Parla il presidente del Gus, Paolo Bernabucci: “I nostri ragazzi sono spaventati, non vogliono uscire”. E fa appello a Forza Nuova: “Sediamoci intorno al tavolo e ragioniamo, senza violenza e

ROMA – Festus Omagbon, 32 anni, originario della Nigeria, sabato mattina è andato a Macerata da Ancona, per comprare alcuni prodotti alimentari africani. Un negozietto del paese, infatti, vende i cibi della sua terra. Mentre era a fare la spesa, però, alcuni colpi di pistola lo hanno raggiunto, ferendolo a un braccio e a una gamba. E’ lui una delle vittime dell’attentato xenofobo compiuta da Luca Traini, ventottenne della città, dichiaratamente fascista. Già operato una volta arrivato in ospedale, tra pochi giorni Festus dovrà subire un secondo intervento, ma non è in pericolo di vita. Il più grave dei feriti, invece, è Mahamadou Toure, 28 anni, originario del Mali. E’ lui a pagare il prezzo più alto di una mattinata di ordinaria follia: è ricoverato in rianimazione con un ematoma al fegato, le sue condizioni sono ritenute gravi. Gli altri feriti sono Gideon Azeke, 25 anni, anche lui nigeriano, Omar Fadera, richiedente asilo di 23 anni proveniente dal Gambia, Jennifer Odion, 25 anni nigeriana, e Wilson Kofi, 20 anni dal Ghana, il più giovane dei colpiti. Secondo le ultime informazioni, ci sarebbero poi altre persone prese di mira da Traini, che sono riuscite a scappare. Tutti neri, tutti rei di avere come unica colpa lo stesso colore della pelle di Innocent Oseghale, il ragazzo nigeriano, arrestato per l’omicidio di Pamela Mastropietro, con l’aggravante del vilipendio e dell’occultamento del cadavere.

In città resta la paura della caccia al nero. Festus e Wilson, due dei feriti, fanno parte di due progetti di accoglienza del Gus, che a Macerata ospita circa 180 persone: 100 in uno Sprar, attivato in collaborazione col Comune, e 80 in un progetto di prima accoglienza di concerto con la prefettura. In totale i richiedenti asilo accolti sul territorio maceratese sono circa 400. “I ragazzi feriti che seguiamo stanno abbastanza bene, ma restano increduli per quanto accaduto – sottolinea presidente del Gus, Paolo Bernabucci -. Festus è entrato nel nostro progetto ad agosto, e vive in un appartamento in provincia di Fermo. Ha già ottenuto la protezione e ora ha iniziato da noi il percorso di inserimento: a breve dovrebbe cominciare il corso per carrellista. Ha fretta di imparare bene l’italiano, perché è lui il primo a volersi integrare”. Wilston invece ha appena vent’anni ed è in attesa di essere ascoltato dalla commissione territoriale che deve decidere sulla sua richiesta d’asilo, ma sottolinea Bernabucci, si sta già integrando bene. Ora, però, la sparatoria di sabato ha cambiato di molto le cose. I ragazzi ospitati nei centri hanno paura ad uscire, non sono sicuri che la caccia al nero sia finita. “Stiamo lavorando per recuperare un clima di normalità ma quello che è successo è qualcosa di avulso e irrepetibile, faremo di tutto perché non accada più – aggiunge il presidente del Gus –Anche noi dobbiamo tenere i nervi saldi, supportare i ragazzi e ristabilire un clima sociale di rispetto in città”.

Appello a Forza nuova (e a Salvini): venite a vedere i nostri progetti, mettiamoci intorno a un tavolo. Il presidente del Gus si è reso anche disponibile a incontrare i rappresentanti di Forza Nuova (cha hanno solidarizzato con l’attentatore) per “metterci intorno al tavolo e ragionare davvero di accoglienza – spiega – senza violenza e senza armi. Anche se siamo ideologicamente distanti penso che vedendo come lavoriamo potranno capire e magari modificare la loro posizione”. Se non ci fosse la campagna elettorale in corso, Bernabucci avrebbe indirizzato lo stesso invito anche a Matteo Salvini: “Ma per ora evitiamo le strumentalizzazioni. Possiamo solo dire che sui territori noi lavoriamo con molti sindaci, anche leghisti, nel concreto il dialogo è possibile e in alcuni casi esiste già”.

“Minacce già in passato ma confidiamo nella reazione della città”. Bernabucci spiega che il progetto Sprar portato avanti a Macerata è quello dell’accoglienza diffusa: “Non abbiamo centri in cui vengono ammassate centinaia di persone ma piccoli appartamenti, dove vivono 4 o 5 ragazzi con un massimo di 8 per quelli più grandi. E’ come se fossero studenti fuori sede – spiega -, vivono in condizioni dignitose e con questo tipo di progetto puntiamo a farli integrare. I ragazzi interagiscono con i vicini, frequentano corsi, tutto normalmente. Questa per noi è una sperimentazione per assicurare integrazione e accettazione all’interno di una comunità accogliente”. Il presidente del Gus si dice anche ottimista per la risposta spontanea e antirazzista della città che ieri pomeriggio si è radunata per protestare contro l’attacco xenofobo. Ma non nasconde anche la sua paura: “Io stesso ho ricevuto minacce in passato per la mia attività, nel 2016. Ma noi non ci vergogniamo di ciò che facciamo, e continuiamo a sperare in una società realmente aperta e multirazziale”.

La Macerata dell’accoglienza la descrive anche Refugees Welcome. Qui l’associazione è attiva da un anno e ha attivato già diverse accoglienze in famiglia. Lucia, infermiera, da qualche settimana ha accolto nella sua casa Blessing, una ragazza nigeriana, titolare di protezione umanitaria, all’ottavo mese di gravidanza. “E’ una minuta e delicata ragazza di 26 anni che partorirà la sua bimba a marzo. Abbiamo deciso di fare qualcosa di concreto per qualcuno, oltre le chiacchiere, perché bisogna mettersi in gioco in prima persona, se si vogliono cambiare le cose” spiega la donna. Anche Annalisa, responsabile del gruppo locale marchigiano di Refugees Welcome ha deciso, assieme alla sua famiglia, di aprire le porte a Toure, 23 anni, rifugiato della Costa d’Avorio. “Quando è arrivato è stata davvero una giornata gioiosa perché abbiamo dato il benvenuto a Toure, ma sembrava che lui non fosse arrivato solo da 4 giorni. I ragazzi hanno riso e scherzato, utilizzando un gergo tutto loro che a volte facevo fatica a comprendere”. Sempre a Macerata Elvira e Luigi da luglio, ospitano Mamadou, del Gambia. “Aiutando una persona in difficoltà, si aiuta se stessi, la propria famiglia, la comunità…è semplice ed è una ricchezza per tutti”, raccontano. Infine, ci sono Lucio, Anna e i loro tre figli Filippo, Ludovico e Matilde, i primi ad accogliere a Macerata un rifugiato, Ebrima, gambiano. Sono l’altra faccia di una città descritta dalle cronache come il cuore nero dell’Italia razzista. (ec)

Da redattoresociale


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