La coraggiosa testimonianza di Federica

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In una delle molte aule di udienza per reati non gravissimi, al piano terra del Tribunale di Roma, si snoda un processo difficile. La parte lesa è una giornalista e l’imputato è un potentissimo del clan Spada di Ostia, Armando, il quale risponde “solo” di minacce in danno della cronista di Repubblica Federica Angeli. Il reato di cui tratta l’udienza (che si è svolta davanti al giudice Michele Romano) è stato consumato a maggio del 2013, quando Federica Angeli ha avuto l’ardire di andare nel chiosco di Ostia in cui Spada aveva interessi reali pur non comparendo formalmente nell’assetto societario.

Quelle minacce Federica le ha denunciate e per questo ieri era in aula a testimoniare. Ma quella denuncia le è costata cara, insieme alle sue inchieste giornalistiche le è valsa il rischio dell’incolumità e dunque l’obbligo di vivere sotto scorta dal 2013. L’avvio del processo è stato accompagnato da un imponente cordone di protezione morale e materiale per Federica. Davanti al Tribunale di Roma, in concomitanza con l’orario di udienza, ha preso forma quella scorta mediatica per i giornalisti minacciati che Articolo 21 ha lanciato da tempo e in cui adesso credono in moltissimi, come ha dimostrato la presenza a piazzale Clodio di Ordine Nazionale, No-bavaglio, Odg Lazio, Fnsi e Stampa Romana, oltre che Libera e Regione Lazio. Ma soprattutto Federica ha avuto una scorta civile, fatta di tantissimi giovani che hanno seguito anche tutta la deposizione davanti al giudice Romano, la parte più vivida, feroce e inequivocabile della realtà di Ostia, raccontata proprio da Federica Angeli.

La sua non è stata una testimonianza qualsiasi ma il resoconto lucido di un pezzo di storia criminale recente del Lazio: la Angeli ha riferito di aver avviato un’inchiesta sul controllo di alcuni stabilimenti balneari di Ostia da parte del clan Spada, non direttamente ma attraverso giri societari e che l’input alle sue indagini era arrivato da un’intercettazione telefonica grave ma non utilizzata in altro procedimento per un vizio di procedura. La deposizione della teste Angeli non è stata semplice. Non lo è stata per lei, che a tratti si è commossa per aver pagato con la limitazione della libertà personale l’aver svolto bene il suo lavoro. Non lo è stata per il pubblico, costretto in un’aula troppo piccola per un processo che afferiva indirettamente anche il diritto di informazione oltre che il reato oggetto di dibattimento, ossia le minacce. Non lo è stata per i contenuti: uno spaccato della mafia a Ostia, raccontato davanti a uno dei dominus della situazione, ossia Armando Spada, tradotto in Tribunale dal carcere dove si trova per altro procedimento penale. L’avvocato di parte civile, Giulio Vasaturo, ha insistito molto, nel suo interrogatorio, sui motivi per i quali la parte offesa era stata minacciata, ossia il suo lavoro di verifica di una notizia e dunque nell’esercizio della professione giornalistica. Il difensore di Armando Spada, l’avvocato Mauro Naso, aveva anche cercato di ricondurre i fatti contestati alla violazione della privacy di Spada, domanda non autorizzata dal giudice Romano. Gli imputati di questo procedimento sono due, oltre ad Armando Spada c’è Paolo Papagni che deve rispondere di tentata violenza privata. Tutta la fase dibattimentale è stata seguita da Radio Radicale, autorizzata con l’obbligo di fornire l’audio a tutti gli altri media che ne faranno richiesta; il giudice ha invece negato le riprese televisive chieste da Rai e Mediaset, dunque non esistono immagini pubbliche di quello che comunque resterà un processo cardine sia sul fronte del racconto della mafia ad Ostia che su quello della libertà di espressione e della scorta mediatica ai giornalisti vittime di intimidazioni. Federica Angeli è stata accompagnata in Tribunale dal direttore di Repubblica, Mario Calabresi, e dal vicedirettore Sergio Rizzo. In aula per tutta la durata della deposizione il segretario dell’Ordine nazionale dei Giornalisti, Guido D’Ubaldo, il Presidente della Fnsi, Giuseppe Giulietti, il segretario Raffaele Lorusso, il Presidente di Articolo 21 , Paolo Borrometi, il Presidente dell’Osservatorio regionale sulla criminalità, Gianpiero Cioffredi.

Con loro tre classi delle scuole superiori, studenti che per la prima volta hanno visto in diretta il volto, il peso, il potere della mafia nel Lazio e allo stesso tempo il coraggio di chi la racconta. L’aula 10 della sezione penale del Tribunale di Roma non è riuscita a contenere le decine di altri esponenti della società civile che hanno scelto di essere lì, perché era utile a loro oltre che a Federica Angeli, perché la loro presenza ha incoraggiato la giornalista minacciata ma, in definitiva, ha reso più forte la democrazia. La stessa Federica prima di entrare in aula ha detto che rifarebbe ogni cosa e che era “soltanto” un suo dovere dire tutto, scriverlo e ripeterlo in un’aula di giustizia. Messaggio ripreso prima dell’inizio del processo dal Presidente dell’Ordine nazionale dei Giornalisti, Carlo Verna, che insieme a Lorusso e Giulietti di Fnsi, ha ribadito che è “necessario tutelare la possibilità dei cronisti di fare il loro lavoro e non esistono zone franche”, facendo dunque riferimento ai recenti attacchi subiti dai redattori e collaboratori di FanPage Napoli.


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