Lavia riporta in scena l’incertezza de “Il Padre” di Strindberg

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Una storia in apparenza banale, eppure tragica. La storia di un tradimento coniugale, dove la posta in gioco sembra però essere molto più alta. Gabriele Lavia a 75 anni, per la terza volta fa rivivere sul palco Il Padre di August Strindberg. Una tragedia, una tragedia dell’essere che conduce alla follia. Un dramma che finisce per assumere una connotazione filosofica, ontologica pur con  un intreccio in apparenza semplice.

Un marito – il capitano di cavalleria Adolf – sospetta che sua moglie Laura lo abbia tradito e che l’amata figlia Berta possa essere figlia di un altro. Colpisce  fosse stata la stessa Laura ad instillare in lui il dubbio, al fine di annientarlo, quando lui aveva tentato di estrometterla dall’educazione di Berta. Il lungo calvario mentale di Adolf lo sprofonda in un’angoscia devastante, che lo fa precipitare. Si tratta di un delitto perfetto, di un omicidio psichico. E nella lotta tra i sessi lei esce senza dubbio vincitrice. “Un intreccio, banale, che nelle mani di Strindberg diventa un ‘abisso’. O, meglio, il precipitare nell’abisso della perdita di ogni ‘certezza ontologica’ dello statuto virile della paternità e l’avvento della condizione di ‘incertezza dell’essere’ dell’uomo che, dunque, deve fare i conti con la ‘cultura’, la ‘storia’ e addirittura (poiché Strindberg scrive una tragedia classica) col ‘mito’.”, ha dichiarato Lavia che ne cura la regia e l’interpretazione al fianco di sua moglie (nella vita e nello spettacolo) Federica di Martino.

All’epoca in cui Strindberg scrisse il Padre – nel 1887, nel giro di pochi mesi, per mettere a nudo un rapporto coniugale inaridito dove moglie e marito sono diventati estranei e rivali – solo la madre era “certa”. La paternità non era ancora provabile scientificamente.

Il Padre di Strindberg, privato di ogni certezza vive una condizione di negazione, di “non essere”, in contrapposizione a quella dell’”essere” della moglie, cui è costretto a riconoscere l’indubbia superiorità. Di fronte al suo “non essere” il capitano non può che cedere alla follia. Un dramma familiare, psichico, profondo dove non si può non riconoscere la bravura di un gigante da palcoscenico come Gabriele Lavia.

Al Teatro Quirino dal 23 gennaio al 4 febbraio una produzione Fondazione Teatro della Toscana. Lo spettacolo proseguirà quindi la tournée a Bologna (Arena del Sole, 8-11 febbraio), Milano (Teatro dell’Elfo), Torino (Teatro Carignano), Genova (Teatro della Corte), Udine (Teatro Nuovo, dal 21 al 23 marzo).


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