Gene Gnocchi è andato oltre la satira?

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Ha destato non poche polemiche la battuta di Gene Gnocchi, andata in onda su “Di Martedì”, durante la consueta copertina del programma di Floris, su La 7. Il comico, mostrando l’immagine, ormai virale, del maiale che scorrazzava fra la spazzatura di Roma, sosteneva che si trattasse del maiale di Giorgia Meloni, che si chiama Claretta Petacci. Da lì, polemiche (e insulti) a non finire: non si tratterebbe di satira, secondo molti (soprattutto gli opinionisti di destra) perché dileggia una donna morta, uccisa in circostanze note (e tragiche).

Ma Gene Gnocchi è andato oltre la satira? Secondo me, no. E per spiegarmi meglio riprendo, per un istante, la vicenda di Charlie Hebdo, il giornale satirico francese al centro di mille polemiche per la vignetta sui morti italiani del terremoto.

All’indomani di quella vignetta furono in tanti a sostenere che non si trattasse di satira, ed addirittura il comune di Amatrice ventilò la possibilità di una azione civile a tutela del nome della città e dei cittadini morti nel tragico terremoto. Ora, aldilà delle legittime opinioni sul tenore di quella vignetta, bisogna dire, oggi come allora, che quella vignetta rispettava i requisiti giuridici su cui si fonda il diritto di satira, che da sempre, peraltro, vive anche sullo humor nero e macabro.

Veniamo a Gene Gnocchi.
La nostra giurisprudenza nazionale, così come quella comunitaria che deriva dai principi dell’articolo 10 della CEDU, stabilisce che la satira è paradosso, iperbole, rappresentazione grottesca dei fatti, verosimile che diventa inverosimile, e che pertanto i limiti previsti per gli altri diritti garantiti in virtù della libertà di espressione del pensiero (diritto di cronaca e diritto di critica) devono essere valutati del tutto diversamente nel momento in cui in gioco c’è il diritto di satira. Ancora, sempre secondo i pronunciamenti dei giudici (nazionali ed europei) non è affatto vero che la satira debba far soltanto ridere: senza scomodare Aristofane, è principio assodato quello secondo cui la satira, con l’arma del sorriso o del ridere, debba fustigare il potere, metterlo alla berlina, creare discussione.

In definitiva, Gene Gnocchi ha oltrepassato i limiti consentiti? Credo proprio di no. Anzitutto, soltanto ad una lettura superficiale corrisponde che Gene Gnocchi abbia leso la reputazione di Claretta Petacci, irridendola e paragonandola ad un maiale (circostanza che se così fosse potrebbe in effetti costituire presupposto per ritenere superati i limiti del diritto di satira, considerato che la satira deve fermarsi laddove diventa puro dileggio della persona): obiettivo di Gene Gnocchi mi pare fosse più  Giorgia Meloni, irridendo il fatto che pubblicasse di continuo la fotografia del maiale tanto da far presupporre che fosse il suo animale domestico e che pertanto appariva possibile (nel senso paradossale ed iperbolico proprio della satira) che l’avesse chiamato con il nome di una donna, comunque, simbolo di un’epoca e di un mondo che fa parte del pantheon di certa destra, cui la stessa Meloni si richiama.

In definitiva, la frase irrideva certi riferimenti culturali della Meloni e della destra che rappresenta, non certo la figura di una donna uccisa. Considerato, ancora, che i limiti della satira sono non tanto nei toni utilizzati quanto nello scopo, ritengo che, almeno in punta di diritto, il comportamento di Gene Gnocchi sia stato rispettoso dei limiti che sanciscono il diritto di satira. Poi, naturalmente, ognuno di noi è libero di esprimere un giudizio di opportunità ed eleganza, ma entriamo su un piano del tutto diverso da quello che riguarda la satira. Che, è il caso di ricordarlo, è uno dei pilastri di una democrazia liberale.


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