“Un albergo dismesso ospiterà 600 profughi”. Ma la notizia è falsa. A Latina si gareggia a chi è più fascista e razzista

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Maglia nera, poster celebrativo del “18 dicembre 1932” e un brano di Alessandro Pavolini, Ministro della cultura del fascismo, la cui immagine campeggia accanto alle sue frasi sulla porta del centro di Casapound Latina, l’ultimo vero avamposto della destra che non fa sconti e mette in mostra le proprie idee senza temere alcuna apologia, né relativa sanzione legale. Non si scherza nella sede dell’associazione dove il fascismo è di casa. E’ all’interno di un immobile dell’Enel occupato abusivamente nel 2006, dove si studia il concetto di “rivoluzione” secondo Pavolini, si raccolgono generi alimentari per i poveri di Latina e si preparano le manifestazioni per l’assegnazione delle case popolari che l’Ater ha terminato da anni ma che il Comune  non attribuisce agli aventi diritto in lista d’attesa. Il tutto sotto lo slogan: “politica d’assalto”, veicolato attraverso un video che dice molto sul mondo della ultradestra di Latina e che ha avuto oltre 12mila visualizzazioni. Qui le idee fasciste sono vive e pure indisturbate: l’effige di Alessandro Pavolini, il “creatore delle bande nere” è illuminante ed è accompagnata da frasi come questa : “l’idea fascista, l’idea di Mussolini ha ancora da attingere e attingerà in un domanipiù o meno prossimo il fulgore del suo meriggio… tutte le rivoluzioni subiscono crisi profonde prima della loro piena affermazione”.

Il centro di Casapound sei anni stava per essere sfrattato ma fu possibile lasciare in piedi l’occupazione abusiva grazie ad un contratto di locazione stipulato dall’amministrazione comunale in carica, di centrodestra, al costo di un canone molto agevolato. Da quel momento è un centro culturale come altri che principalmente si occupa di immigrazione e ogni volta che a Latina o in provincia apre un nuovo centro di accoglienza per migranti, lo striscione di Casapound c’è. Perché la battaglia contro gli immigrati per questi attivisti è una faccenda da non sottovalutare. Ciò che più brucia in questo momento è che il quartiere più vecchio di Latina (anzi di Littoria, come usano dire da quelle parti) da simbolo razionalista che era è diventato la zona più multiculturale del capoluogo pontino, con la più alta densita di abitanti formata da nordafricani e rumeni. Il quartiere è a due passi dalla sede di Casapound e gli attivisti di destra se ne lamentano moltissimo, sostenendo che il Nicolosi è ormai solo un ghetto per lo spaccio di droga, in “balia di bande di magrebini e rumeni”. In effetti al Nicolosi c’è un gran via vai di pusher e spesso la notte si contendono la piazza a bottigliate. Ma dall’altra parte della città, nei quartieri popolari di via Bruxelles succede la stessa  cosa, solo che lì lo spaccio lo gestiscono gli italiani, al massimo gli zingari stanziali quindi non fa notizia. Piuttosto è difficile il rapporto che si è creato a destra tra le varie frange che contestano la politica sui migranti del Comune e della Prefettura. L’ultimo incidente di percorso, tutto sull’ala destra, si è verificato qualche giorno fa.

Un attivista di Fratelli d’Italia si è inventato che 600 profughi, “tutti galeotti”, stessero per essere sistemati in un albergo chiuso per fallimento. Sono state inutili le smentite del nuovo proprietario dell’hotel e del Comune: dopo un tam tam su facebook sotto al sede dell’albergo si è tenuto un sit in di protesta contro l’arrivo (inesistente) dei migranti. Per Fdi è stata una figuraccia che ha fatto arrabbiare soprattutto Casapound, la quale protesta eccome contro i migranti ma solo quando questi arrivano davvero. Gli attivisti locali hanno censurato la scelta di Fdi perché essa toglie credibilità all’azione anti immigrazione che viene puntualmente messa in campo davanti ad ogni nuovo centro di accoglienza, dove almeno uno striscione di Casapound c’è. Iniziative sempre portate avanti con toni sopra le righe in una lotta a chi è più razzista. Irripetibili i post che si sono registrati sotto l’invito all’adunanza contro l’arrivo dei rifugiati. Alcuni contenevano richiami “ai forni” e all’uso del “naplan” con una violenza verbale e allusioni alle persecuzioni razziali di cui forse, specie in questo momento, non si sentiva il bisogno.


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