Catalogna. Tra caos, feriti e repressione, hanno votato in 2.220.000. Il Sì ha ottenuto il 90%, com’era prevedibile

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Di Pino Salerno

La lunga giornata del primo ottobre si è conclusa con le usuali dichiarazioni di vittoria di entrambi i macchinisti dei treni in corsa che finalmente hanno finito per scontrarsi, in modo assai più violento di quanto non sembrasse probabile ancora 24 ore fa: ma al di là delle forzatamente controverse cifre del referendum – il “sì” sarebbe al 90% con oltre due milioni di voti – contano gli oltre 800 tra feriti e contusi, ma anche e soprattutto la grande mobilitazione popolare sulla quale gli indipendentisti contavano ben di più che sull’effettiva possibilità di votare. Mobilitazione che avrà il suo peso politico a partire da oggi, quando alla crisi occorrerà per forza cercare di dare una risposta che si basi su un dialogo, per quanto difficile. Una giornata che era iniziata ieri in un clima quasi festivo, con le scuole occupate da genitori e figli – impegnati in improbabili tornei notturni di carte o giochi da tavolo – per impedire che venissero chiuse: e così già alle sei del mattino davanti a molti seggi si erano formati capannelli di elettori con lo scopo di poteggere l’arrivo semiclandestino delle urne e impedire l’ingresso dei Mossos d’Esquadra. Mossos che si sono ben guardati dal fare irruzione, limitandosi a fare rapporto sull’apertura dei seggi e a identificare i componenti delle sezioni, fra gli applausi della gente: concordia che è durata solo poche ore, dal momento che alle 9 del mattino (ora in cui dovevano inziare le operazioni di voto) in alcuni dei seggi in cui dovevano votare i principali esponenti indipendentisti si sono presentati la Guardia Civil e la Polizia nazionale, in assetto antisommossa.

Nella località di Sant Julià, dove doveva votare il presidente regionale catalano Carles Puigdemont, o a Sabadell, seggio della presidente Carme Forcadell, gli agenti hanno usato manganelli e proiettili di gomma – proibiti dalla legge catalana dal 2014 – per fare irruzione negli edifici, rimuovendo con la forza gli elettori che opponevano resistenza pacifica, nonostante l’ordinanza del tribunale – che imponeva la rimozione delle urne – sottolineasse la necessità di “rispettare la convivenza”. Il bilancio di queste ed altre cariche – diminuite nel corso della giornata man mano che le immagini di quanto accaduto in mattinata facevano il giro del mondo – è di 844 tra contusi e feriti, due in modo grave, e altri due accoltellati all’interno di un seggio; una ministra regionale aggredita, tre arresti (annunciati dal Ministero degli Interni spagnolo ma non confermati) e 12 agenti contusi o feriti. Tuttavia, ad ostacolare maggiormente le operazioni di voto sono stati i problemi informatici in molti seggi, a cui il governo regionale aveva cercato di ovviare annuciando poco prima dell’apertura delle urne il “censimento universale”, ovvero la possibilità di votare in qualsiasi seggio grazie alla possibilità di utilizzare una base dati complessiva; problemi dovuti anche all’occupazione da parte della Guardia Civil del centro di elaborazione dati della Generalitat.

Una reazione criticata dal segretario generale del Partito socialista, Pedro Sanchez, che pur attribuendo la responsabilità della crisi ad entrambe le parti – un atteggiamento che in Catalogna ha portato i socialisti alla virtuale estinzione – ha lanciato un appello al dialogo sottolineando come l’indipendentismo abbia oramai radici sociali profonde ed esprime istanze alle quali è necessario dare una risposta. Ben diversa è la reazione dei partiti indipendentisti catalani: già in giornata Puigdemont aveva sottolineato il comportamento “vergognoso” dello Stato spagnolo, mentre il suo portavoce aveva annunciato che il governo regionale si sarebbe rivolto alle istituzioni europee di fronte a una violenza delle forze dell’ordine di cui nella regione non si aveva ricordo dai tempi della dittatura franchista. In serata Puigdemont, circondato dai suoi ministri, ha ringraziato quei governi e i deputati europei che gli hanno trasmesso la propria solidarietà dopo le violenze, accusando lo Stato di aver dato “la risposta di sempre: violenza e repressione”. I catalani “si sono guadagnati il diritto di essre rispettati in Europa” e “il diritto ad un stato sovrano”, e l’Ue non può “guardare dall’altra parte” di fronte alle violazioni dei diritti: non è più quindi solo “una questione interna” spagnola.

Pur non annunciando alcun risultato, Puigdemont si è impegnato a trasmettere entro le prossime 48 ore l’esito del referendum al Parlamento regionale perché agisca di conseguenza. Secondo il portavoce Turull sono state 2.262.424 le schede (pari a circa il 42% degli aventi diritto), cui andrebbero aggiunte le schede sequestrate dalla polizia o corrispondenti a seggi in cui non si è potuto votare, valutate in circa 770mila. L’esito fra coloro che si erano mobilitati per il voto non era in dubbio: oltre due milioni di “sì”, pari a circa il 90% delle preferenze, contro un 7,8% di “no”. Va notato che il referendum, come altri dello stesso genere, non aveva un quorum, ma chiaramente maggiore la partecipazione (per quanto il dato possa essere controverso) maggiore il peso politico e la legittimità (quanto meno agli occhi degli indipendentisti) della consultazione. Oggi si apre quindi una nuova fase, il cui punto finale di caduta – anche in presenza di una dichiarazione unilaterale di indipendenza come prima mossa di Barcellona – dovrà essere l’apertura di un dialogo se non si vuole che i treni – quali che ne siano i macchinisti nel prossimo futuro – tornino a scontrarsi in breve tempo.

I lavoratori catalani che aderiscono ai sindacati spagnoli CGT, IAC, Intersindical CSC e COS sciopereranno domani per “lottare contro la repressione e per le libertà”. Le quattro sigle, che hanno annunciato giovedì scorso la mobilitazione, hanno spiegato che l’invito è rivolto non solo ai lavoratori ma a tutta la cittadinanza. La Cgt ha spiegato giovedì che i sindacati si mobilitano contro la repressione dei diritti fondamentali in Catalogna: un appello che sarà tanto più ascoltato all’indomani del voto referendario durante il quale le cariche della polizia spagnola sui seggi hanno ferito 840 persone. Lo sciopero è stata confermato ieri sera dai quattro sindacati, che avevano promesso di sconvocarlo se il voto si fosse svolto “normalmente”.

Da jobsnews


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