Uccise in Turchia una giornalista e la madre attivista, voci libere contro il regime di Assad

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Si erano rifugiate in Turchia con l’illusione di essere finalmente al sicuro. Speranze squarciate come le loro gole da mani assassine che avevano il mandato di farle tacere per sempre.
Sono morte così, nella loro casa a Istanbul, Orouba Barakat, un’attivista siriana e Hala, la giovane figlia giornalista di soli 23 anni.
La 60enne originaria di Idlib da anni denunciava le violazioni dei diritti umani da parte del regime di Bashar al-Assad e aveva realizzato insieme ad Hala documentari che, in inglese e arabo, avevano messo a nudo la barbarie delle carceri siriane, dove si sono consumate torture e sparizioni di migliaia di oppositori.
La 23enne, commentatrice dell’edizione araba di Huffington post, collaborava anche con la televisione turca Trt e con Orient TV.
Le due donne sono state prima strangolate e poi ripetutamente colpite con un’arma da taglio. Secondo la ricostruzione degli inquirenti gli assassini hanno ricoperto i corpi di additivi chimici per coprirne l’odore dei cadaveri e ritardare il ritrovamento.
I colleghi di Hala hanno dichiarato che lei e sua madre erano state minacciate di morte da alcuni esponenti del regime di Assad.
Si erano in un primo momento rifugiate in Inghilterra, dove avevano chiesto asilo. Poi si erano riavvicinate al medio oriente, prima trascorrendo un periodo negli Emirati Arabi per poi stabilirsi in Turchia, a Istanbul.
Come ricorda Asmae Dachan, collega siriana che vive in Italia, Hala, il cui nome significa bellezza, era una bella, radiosa e coraggiosa ragazza che voleva raccontare il dolore della sua gente.  
“Era una collega che si opponeva al regime di Bashar al-Assad – scrive Asmae – e per questo suo attivismo ha pagato con la vita”.
Con una mamma come Ouruba, indomita attivista per i diritti umani dei rifugiati siriani in Turchia, non poteva essere altrimenti.
Oltre alla tesi dell’esecuzione ordinata da Damasco non si esclude il coinvolgimento di autorità locali, che non gradivano la presenza delle due donne su suolo turco.
Erano voci scomode, tra le poche che ancora riuscivano a far trapelare notizie su quanto avviene in Siria, conflitto su cui è calato un silenzio imbarazzante.
E’ per questo facciamo nostro e rilanciamo l’appello di Asmae Dachan a denunciare l’uccisione dei giornalisti siriani che cercavo di illuminare la crisi e le violazioni continue nel Paese. Noi non li lasceremo da soli.


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