Le false notizie e le parole d’odio distruggono la libertà e uccidono la democrazia

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Sempre più spesso scorrono sulle prime pagine dei quotidiani stampati, sulle homepage dei loro siti online e tra le chat di FaceBook e degli altri SocialNetwork notizie false, “verosimili”, parole di odio e razziste, espliciti incitamenti a violenze verso esponenti politici, donne, emigranti: in genere verso i “diversi” da una normalità non ben definita, non si sa da chi codificata e secondo quali canoni universalmente riconosciuti.

Le censure sono da aborrire da qualunque parte provengano. Il rispetto delle leggi e delle regole che ci siamo dati come Stato (piacciano o non piacciano) è però fondamentale. Certo, si possono sempre cambiarle, modificarle.

Fatte queste premesse, in parte dissento con chi chiede l’intervento della magistratura o dell‘Ordine nazionale dei giornalisti, affinché usino la “mano pesante” sui giornali che pubblicano notizie palesemente diffamatorie e distorcenti la realtà. In realtà, queste “grida manzoniane” non approdano a nulla, in quanto i tempi della giustizia togata e di quella professionale sono lunghi e l’opinione pubblica tende a dimenticarsi dell’accaduto: con internet si “volta pagina” in un batter di clic!

In questo “sport”, che getta metaforicamente schizzi di fango sull’intero sistema di comunicazione, spiccano soprattutto i giornali che gravitano su un pubblico orientato a “destra”, che risultano editi anche da personalità legate a partiti di centro-destra e che ancora nel recente passato hanno goduto dei finanziamenti pubblici, in quanto “organi” di pseudo partiti, come ad esempio un anticostituzionale “Movimento monarchico italiano“!!!

In questi ultimi giorni, si è distinto tra gli altri anche “Libero”, che fa parte della scuderia del gruppo Angelucci, “principe” delle case di cura private nel Lazio, deputato eletto nel PDL di Berlusconi. Ora, non sembra che nonostante precedenti denunce e campagne di moral suasion da parte di tanti giornalisti e movimenti, “Libero” abbia sofferto più di tanto di censure o di provvedimenti, tendenti ad una sua sospensione seppure temporanea delle pubblicazioni o alla revisione dei finanziamenti…E che dire dei provvedimenti disciplinari dell’Ordine verso Feltri, Farina e Sallusti? Come l’acqua che scorre in mille rivoli: continuano a scrivere, a pubblicare le loro opinioni. Sono sempre all’opera, spesso anche nella veste di ascoltati opinionisti televisivi!

C’è qualcosa, insomma, che non quadra nel nostro ordinamento professionale-sindacale e nelle regole statali in quanto a Libertà di Stampa. Certo, principio inderogabile per la nostra società liberale, ma che si è trasformato con l’imbarbarimento dell’agone politico in principio assolutorio per la “spazzatura” propagandata su tante testate scritte, online e sui SocialNet come FB. Si cerca spesso di farsi scudo, per nobilitarsi e operare a mani libere, con i dettami dell’Articolo 21 della nostra Costituzione, stravolgendone il significato di alto valore liberale e progressivo. Un po’ come fanno gli americani quando si trincerano dietro al Secondo emendamento della loro Costituzione, pur di legittimare qualsiasi uso anche il più indiscriminato delle armi (riconosciuto nel 2008 dalla Corte Suprema federale come un diritto inviolabile, simile a quello al voto e alla libertà di espressione). Siamo, invece, ben oltre la corretta ed autentica applicazione dell’Articolo 21, così come la pensarono e decisero i nostri padri costituenti!

Ma quando si fanno titoloni allarmistici o palesemente falsi, diffamatori, ecc…, oppure si pubblicano atti giudiziari ancora coperti dal segreto (in cui vanno distinguendosi alcuni giornali di “destra” e di “sinistra”, a seconda dell’avversario politico del momento), ecco allora che dovrebbero scattare sanzioni non tanto e solo disciplinari nei confronti degli autori dei pezzi, della titolazione e dei responsabili gerarchici del giornale in questione; ma bisognerebbe arrivare alla sospensione immediata della testata, fino a quando non vengano pubblicate rettifiche, smentite e scuse in identiche pagine e tipologie grafiche. Censura? No!

Forse non chiediamo a Facebook e alla Polizia postale di “bannare” le pagine contenenti notizie false o diffamatorie, propagatrici di odio, di minacce e di insulti personali? E una sospensione momentanea farebbe molto più male anche a livello economico per l’editore e per i redattori tutti (il più delle volte purtroppo non si ribellano a questo andazzo, neppure le loro rappresentanze sindacali di base, i cdr), di tanti processi civili e pendenze disciplinari presso l’Ordine dei giornalisti, che poi in concreto non creano nessun effetto (quei giornali continuano a spargere odi e menzogne e le loro “Firme” continuano a scrivere e a guadagnare comunque).

Da quando, con la crisi dei partiti storici della Prima e Seconda Repubblica, l’arena politica si è spostata dalle piazze reali a quelle virtuali e con l’avvento di Internet e dei SocialNet, la comunicazione in tutte le sue svariate forme, mezzi d’informazione tradizionali compresi, è diventata la nuova “Eldorado”: lo strumento principe col quale cercare di imbonire, incattivire, manipolare, scioccare, determinare i comportamenti dell’opinione pubblica sia negli stili di vita sia nell’esprimere consensi o dissensi elettorali. A poco sono valse finora le leggi per regolamentare il pluralismo nei media o a contrastare derive monopolistiche e di concentrazione proprietaria. Anche perché queste leggi derivavano dai rapporti di forza di maggioranze politiche intrise di conflitti d’interessi.

Pensiamo solo alle ultime “campagne mediatiche” che vengono lanciate sempre più spesso dai giornali stampati e online, orientati verso la pubblica opinione di destra, in cerca di estremizzarne gli orientamenti: l’invasione degli emigranti, legata al pericolo terroristico imminente, al ritorno di epidemie spaventose, all’impoverimento delle classi lavoratrici e alla disoccupazione degli italiani; l’escalation delle violenze specie di stampo sessuale verso le donne e i minori da parte di “africani ed arabi”; il vertiginoso aumento degli atti di delinquenza comune nei confronti dei “poveri cristi”; l’immoralità della classe politica ed istituzionale, specie se espressione del centro-sinistra; per finire, con le campagne oscurantiste sulle vaccinazioni, con l’amplificazione delle posizioni pseudoscientifiche dei NoVax.

Dall’altro campo, comunque, si va affermando una vocazione tipo “manette facili” che colpisce soprattutto le amministrazioni di centro-sinistra e non solo; che predilige la pubblicazione di atti giudiziari spesso ancora secretati e di intercettazioni sensazionalistiche; l’affermarsi di un neo-qualunquismo radical-chic, che tende a delegittimare l’intera classe politica, incentivando indirettamente l’elettorato all’astensionismo di massa; il ricorrere allo scandalismo giudiziario per colpire gli avversari politici più in vista del momento.

Questa “guerra mediatica” ha solo un effetto devastante nell’alterare lo sviluppo della democrazia nel nostro paese e nell’instillare particelle di odio subliminale dentro l’inconscio collettivo. Se i personaggi istituzionali e non, ma di indubbia rilevanza sociale e politica, hanno la possibilità di controbattere e di stoppare almeno momentaneamente le campagne di odio orwelliano (alla Grande Fratello del capolavoro “1984”), così non vale per tutti gli altri, per quei milioni di internauti che navigano e “chattano” su Facebook e gli altri SocialNet, che possono tutt’al più “bannare” gli invasori maldicenti o rivolgersi alla Polizia postale, ma con notevole dispiego di energie e tempo.

Qui non si tratta di mettere in discussione quanto prescritto dall’Articolo 21 della Costituzione. Reputo, però, che esista una “giusta misura”, proprio per noi giornalisti, di farsi “mediatori” tra i fatti di cronaca accaduti e la comunicazione verso l’opinione pubblica.

Cerco di spiegarmi. Ha sbagliato la collega di “Libero” a riportare i particolari orrendi delle aggressioni sessuali fatte dal branco di violenti a Rimini; e con lei hanno sbagliato i suoi capi gerarchici, fino al direttore responsabile. Bastava “mediare” (questo è il nostro compito, visto che non siamo né anatomopatologi né membri delle forze speciali anticrimine né magistrati inquirenti), riportare che avevano subito “violenze sessuali animalesche, bestiali, che hanno loro procurato danni fisici e psicologici devastanti”: ed ecco che la “fantasia” più o meno pruriginosa dei lettori si sarebbe appagata…

Riportare quegli stralci (e chi ha fornito quei documenti tra gli inquirenti e forze di polizia giudiziaria non ha responsabilità?) è una forma di pornografia voyeuristica, una scelta incivile e sbagliata, perché anche nell’opinione pubblica “di destra” esiste il senso della misura, della tutela dei canoni di civiltà, del diritto ad essere informati pluralmente ma senza aggressività. In questi casi si dovrebbe poter sospendere temporaneamente la pubblicazione di quei giornali fino ad una sorta di “compensazione morale” informativa negli stessi spazi. Andrebbero varate norme in tal senso.

Viviamo purtroppo in un periodo dove la violenza verbale, scritta, online e televisiva ha preso il sopravvento. Sarebbe ora di ribellarci a questa deriva, a questa “guerriglia mediatica”, magari anche non leggendo certi giornali, non “cliccando” più sui loro siti online, protestando sui SocialNet e con altri mezzi contro quegli “spazi mediatici”, soprattutto TV che continuano ad ospitare personaggi dediti alla violenza verbale o che si lanciano in aggressioni comunicative, senza mai essere contraddetti dai conduttori.

E proprio su tutti questi temi penso si soffermerà la prossima Assemblea nazionale di Articolo 21 (www.articolo21.org), ad Assisi dal 29 al 30 settembre (#AMI “Abbattiamo i Muri di Ignoranza”), anche allo scopo di redigere una speciale Carta dal titolo significativo: “Non scrivere degli altri quello che non vorresti fosse scritto di te…”


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