“L’utopia per Bergoglio è critica della realtà, ma anche ricerca di nuove strade”. Intervista a padre Antonio Spadaro

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Si è svolto nei giorni scorsi alla Federazione Nazionale della Stampa Italiana un incontro di riflessione che ha preso le mosse dalle tre raccomandazioni fatte da papa Francesco al collegio degli scrittori de La Civiltà Cattolica, la più antica rivista culturale italiana: “inquietudine, incompletezza del pensiero, immaginazione”. Queste tre “i” per i promotori del convegno riguardano tutto il mondo dell’informazione, al di là dell’appartenenza religiosa dei singoli.
Ai lavori, aperti da Giuseppe Giulietti, hanno preso parte il professore di storia del Cristianesimo Daniele Menozzi, la teologa musulmana Shahrzad Houshmand, il filosofo Giacomo Marramao, il portavoce della Comunità di Sant’Egidio Roberto Zuccolini, il presidente del Centro Astalli padre Camillo Ripamonti, i vertici dell’Ucsi, i giornalisti Raniero La Valle, Paolo Ruffini, Marino Sinibaldi, il presidente dell’Ordine del Lazio Paola Spadari, il segretario della Fnsi Raffaele Lorusso. Per me, che ho promosso l’iniziativa insieme ai colleghi dell’Ucis e della Fnsi, è stata l’occasione per tornare a parlarne con padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, dopo che ha concluso la discussione ringraziando e sottolineando che “questo discorso è rivolto a noi ma non è nostro.”

Per molti il papa gesuita in questo discorso rivolto ai redattori della rivista dei gesuiti parla molto di sé. Dunque il suo è un “pensiero incompleto”?
“Bergoglio quando parla dei gesuiti, sta parlando, ovviamente, di se stesso. Ed ecco la definizione-chiave che Papa Francesco fornisce del gesuita (e dunque di sé): «Il gesuita deve essere una persona dal pensiero incompleto» (Intervista 2013). E ancora: «Il gesuita pensa sempre, in continuazione, guardando l’orizzonte verso il quale deve andare, avendo Cristo al centro». Come disse in una lettera ai sacerdoti del 29 luglio 2007, bisogna stare attenti a che l’orizzonte non si avvicini a tal punto da diventare un recinto. L’orizzonte deve essere realmente aperto.”

Questo punto è molto importante, come la sottolineatura di papa Francesco che mette in guardia dai pensieri rigidi, un rischio che non riguarda soltanto i credenti. E, in buona sostanza, afferma che il pensiero rigido non è cristiano, perché Cristo si è fatto carne, e la nostra carne è rigida solo quando si muore.
«Dio è creativo, non è chiuso, e per questo non è mai rigido. Dio non è rigido!» ha detto Papa Francesco in un suo discorso ai catechisti il 27 settembre 2013. Così la nostra vita non deve irrigidirsi. L’esistenza umana non è una partitura già scritta, un «libretto d’opera», dice Bergoglio. C’è una dimensione di incertezza, di incompletezza che fa parte integrante di una vita di fede che è, dice nell’intervista, «avventura», «ricerca», apertura di nuovi spazi a Dio. Ha scritto Bergoglio in una pagina davvero luminosa: «Qualsiasi discorso chiuso, definitivo cela sempre molte insidie; nasconde ciò che non deve venire alla luce, cerca di imbavagliare la verità che è sempre aperta a ciò che è davvero definitivo, cosa che non fa parte di questo mondo».

Ci aiuti ad entrare un po’ meglio nel tema dell’inquietudine. Il segretario della FNSI, Raffaele, Lorusso, l’ha definita una necessità che dovrebbe essere propria di ogni giornalista in quanto tale. E Marino Sinibaldi, direttore di Radio3, ha lamentato che la perdiamo sempre di più. Ma Bergoglio? Cosa vuol dire per lui “inquietudine”?
“Bergoglio ama la postura esistenziale di Agostino. Nella Messa per l’inizio del Capitolo Generale dell’Ordine di Sant’Agostino, il 28 agosto 2013, aveva parlato della «pace dell’inquietudine». Il rapporto di Bergoglio con Dio, la sua esperienza personale di Dio non può prescindere da questa inquietudine, sapendo che però Dio ci cerca per primo. Da questa visione consegue una visione della maturità – tema importante per un educatore – che non coincide più con l’adattamento. «Lo stesso Gesù» afferma provocatoriamente Bergoglio «per molte persone del suo tempo sarebbe potuto rientrare nel paradigma dei disadattati e quindi immaturi». Senza cadere nell’elogio dell’anarchia, Bergoglio però argomenta: «Se la maturità fosse un puro e semplice adattamento, la finalità del nostro compito educativo consisterebbe nell’ “adattare” i ragazzi, queste “creature anarchiche”, alle buone norme della società, di qualunque genere siano. A quale costo? A costo della censura e dell’assoggettamento della soggettività, o peggio ancora a spese della privazione di ciò che è più proprio e sacro della persona: la sua libertà». Invito a riflettere bene su quanto scrive Bergoglio: «Un ragazzo “inquieto” […] è un ragazzo sensibile agli stimoli del mondo e della società, uno che si apre alle crisi a cui va sottoponendolo la vita, uno che si ribella contro i limiti ma, d’altra parte, li reclama e li accetta (non senza dolore), se sono giusti. Un ragazzo non conformista verso i cliché culturali che gli propone la società mondana; un ragazzo che vuole imparare a discutere…». Dunque occorre «leggere» questa inquietudine e valorizzarla perché tutti i sistemi che cercano di «acquietare» l’uomo sono perniciosi: conducono, in un modo o nell’altro, al «quietismo esistenziale».

Dunque non è un’esagerazione dire che papa Francesco ci mette in guardia dal rischio dell’identitarismo?
“Oggi avvertiamo una tentazione forte — a volte anche nel mondo cattolico —, quella di serrare le file. Si avverte la tentazione di opporre al caos percepito la risposta di un cattolicesimo intransigente e identitario. Noi oggi riconosciamo che una «civiltà cattolica» non è una bolla chiusa in se stessa né alimenta rancori nei confronti di un mondo che sembra ormai perso e alla deriva, abbandonato da Dio. La Civiltà Cattolica non è quella costruita sull’intransigenza dei puri che uccide lo spirito. La tentazione identitaria è la necrosi del cristianesimo.”

Nel corso del convengo si è parlato in più occasioni di “utopia”. Qual è il rapporto di papa Francesco con l’utopia?
“Bergoglio non rifiuta l’«utopia» come mera astrazione. Al contrario riconosce la sua carica positiva e la sua valenza politica. Afferma: «Le utopie sono in primo luogo frutto dell’immaginazione, proiezioni nel futuro di una costellazione di desideri e aspirazioni». L’utopia prende forza dall’insoddisfazione e dal malessere generati dalla realtà attuale, ma anche dalla convinzione che è possibile un mondo diverso. Non è pura evasione ma una forma che la speranza assume in una concreta situazione storica e che si accompagna a una ricerca concreta dei meccanismi o delle strategie per realizzarla. L’utopia scaturisce dal rifiuto intelligente di una situazione considerata cattiva, ingiusta, disumanizzante, alienante. L’utopia dunque per Bergoglio è critica della realtà, ma anche ricerca di nuove strade. Papa Francesco indica un compito radicale: ricostruire l’immaginario della fede e della convivenza umana in una società mutante, dove i riferimenti simbolici e culturali non sono più quelli di una volta.”


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