Sky a terra

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Che succede nell’impero di Rupert Murdoch? Perché “Sky Italia”, azienda che detiene il 15% del mercato televisivo  con un fatturato rilevantissimo, annuncia lo smantellamento del centro di Roma? La conseguenza: 300 trasferimenti a Milano e, per di più, ben 200 esuberi, di cui 80 a Rogoredo e 120 in via Salaria. Si è aperto un tavolo presso il Ministero dello sviluppo, dopo le prese di posizioni sindacali. Ma qualcosa non torna. Siamo di fronte ad una situazione assai grave, anche nella sintassi delle relazioni aziendali. E’ evidente che il fortissimo ridimensionamento della presenza nella Capitale porta con sé riflessi gravi sul vasto indotto del settore, finalmente meno succube del “duopolio” di Rai e Mediaset.

E poi, è da capire il nesso tra gli annunci roboanti dell’amministratore delegato Andrea Zappia che aveva parlato di consolidamento del gruppo, e una scelta che generalmente coincide con uno stato di crisi. E a fronte dei colossali investimenti  di risorse per accaparrarsi i diritti televisivi del calcio. Con buona pace delle leggi del mercato, che sembrano valere solo quando le proprietà si rivolgono ai senza potere. La bolla dei diritti veleggia invece alta e intangibile, senza remore, a suon di milioni di euro.

Tra l’altro, gli utenti dei canali pagano l’abbonamento e hanno diritto di sapere e di capire. Non solo.  Se è vero che “Sky”, nata nel 2003 dalla fusione tra “Tele+” e “Stream TV”, nasce sulla piattaforma satellitare, da ultimo ha ottenuto –però- numerose frequenze terrestri, dove trasmette “SkyTg24”, “Cielo”, “Tv8”. Agisce, quindi, pure laddove lo spettro è limitato e le emittenti in tanto possono trasmettere (loro e non altre concorrenti) in quanto garantiscono affidabilità di impresa. E il rispetto del lavoro è un tratto essenziale della credibilità, come sottolinea la Costituzione italiana.

Un chiarimento si fa urgente e non si perda tempo in chiacchiere sulla crisi della Capitale e la sua ipotetica decadenza. Il sospetto che sorge spontaneo è che più che la sindaca Raggi potè la sconfitta di Matteo Renzi, alle cui linee la direzione di Sky è sembrata essersi legata a filo doppio. Vedi il posizionamento filogovernativo un po’ su tutto, a cominciare dalle scelte sui referendum. Basti rileggersi i dati della “par condicio”.

Del resto, il patron Murdoch è noto proprio per legarsi mani e piedi ai potenti di turno, salvo poi cambiare rotta quando il clima cambia. Il vicedirettore del “Chicago Tribune”, quando fu licenziato in tronco dal tycoon anglo-australiano, disse che “un pesce per bene non si fa incartare in un giornale di Murdoch”. Ecco, appunto. Non ci si faccia incartare. Vengano ritirati i licenziamenti , prima di ogni altra cosa.

Chissà se l’Agcom, preposta alla vigilanza sul settore e ora assai sensibile alla difesa dell’italianità di Mediaset, non vorrà uscire dal suo riserbo: coloro che rischiano di andare a casa sono proprio italiani, per capirci.

E dal Parlamento potrebbe venire la domanda doverosa, alla luce dei trascorsi del gruppo, se la chiusura di Roma prefiguri una smobilitazione generale.


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