Violenza, social e informazione

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La violenza è un crimine che si può interrompere solo con la prevenzione. L’intervento di Cristina Obber.
La violenza sessuale, quella agita nell’oscurità reticente della piccola comunità e quella agita in piena luce nella piazza virtuale dei social, viene finalmente trattata dai media e dagli specialisti per quello che è: un crimine che si può interrompere soltanto con la prevenzione. Il caso della tredicenne di Melito e d’altre adolescenti (emozionante la testimonianza trasmessa dall’ultimo TV7) così come il caso di Tiziana Cantone e Carolina Picchio, bullizzate dalla rete e “quindi” morte suicide, chiamano in causa anche il giornalismo. Che sta facendo la propria parte con interviste, inchieste, approfondimenti. Ne segnaliamo due: l’appello ai genitori della collega Cristina Obber dalle pagine della 27esimaOra e il numero speciale de Gli Intrusi, la rivista online sui diritti.

Genitori, fatevi sentire! Se siete indignati per la vicenda di Melito di Porto Salvo (una ragazzina di 13 anni che ha subìto stupri di gruppo per tre anni viene lasciata sola dai suoi concittadini e lo stesso procuratore capo di Reggio Calabria ammette l’omertà dicendo: «Tutti sapevano») passate al passo successivo, ovvero parlatene con i vostri figli e pretendete che di questo si parli anche nella scuola che frequentano.

Se pensate che siano vicende rare o che riguardano zone degradate vi sbagliate, la violenza sessuale riguarda tutta l’ Italia (qui i dati del ministero sugli strupri tra minori, dove «primeggiano» i bravi ragazzi di Bergamo o Trento) ma le ragazze stentano a denunciare perché la nostra cultura le fa sempre sentire in colpa. Ricordate che anche quando gli autori della violenza, essendo minorenni, non hanno piena consapevolezza della gravità del crimine commesso questo non attenua la gravità del loro crimine; hai distrutto una ragazza e non c’è il tasto rewind, non c’è per te ma soprattutto non c’è per lei.

Ma come fare a renderli consapevoli prima invece che dopo? Vi sono informazioni e strumenti utili per affrontare presente e futuro con maggiore consapevolezza. Chiedete – e pretendete – che nelle scuole si faccia educazione di genere. Genere non è una brutta parola, così come non lo è gender (la traduzione di genere in inglese). Anche io sono madre, e comprendo la confusione. Ci hanno raccontato tante frottole sul gender facendo leva sul nostro naturale senso di protezione verso la prole; ma l’educazione di genere altro non è che educazione al rispetto delle differenze in quanto esseri umani, persone a cui riconoscere un valore che ci viene dal nostro stare al mondo.

A volte mi scrivete lamentando la mancanza di questi temi nella proposta formativa destinata ai vostri figli. Mi scrivono anche insegnanti che vorrebbero organizzare dibattiti sul femminicidio; ma il clima di tensione che si è creato a causa della campagna denigratoria contro «il gender» (spacciato per le peggiori cose) preoccupa i/le dirigenti che temono le vostre lamentele. È in corso un cortocircuito: voi genitori vi lamentate che la scuola non offra momenti di riflessione mentre insegnanti e dirigenti frenano la propria iniziativa temendo invece la vostra disapprovazione. Tutto perché una minoranza grida e spaventa tutti gli altri.

E allora cari genitori, se siete inorriditi per il femminicidio di Sara, uccisa e bruciata a 22 anni per aver scelto di chiudere una relazione in cui non c’era più amore, se oggi siete indignati per lo stupro di gruppo di una ragazzina senza colpa, se non volete che tra i banchi di scuola le ragazze continuino con leggerezza a chiamarsi e farsi chiamare troie e cagne e zoccole, se non volete che i vostri figli maschi possano sentirsi padroni di una loro compagna di banco, fate la vostra parte e chiedete alla scuola di introdurre l’educazione di genere nella proposta formativa. Alle superiori, alle medie, alla primaria, alla scuola dell’infanzia, perché tutto comincia con i piccoli gesti, le piccole cose. Scrivete ai/lle dirigenti, è inutile indignarsi aspettando che qualcun altro intervenga. Scrivete ora, così che si mettano in moto le cose. Mettetevi in gioco e fatevi sentire!


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