Dopo Nizza. Lo scontro di civiltà che l’Occidente non vuole ammettere

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Stroncare la vita di quasi 100 persone, che festeggiavano il 14 Luglio sul lungomare di Nizza, come se si fosse in una strada sterrata di Baghdad, è il segno del livello cui è arrivato il fondamentalismo in questa “Guerra di civiltà” tra Occidente e Oriente islamizzato, che, nonostante tutti gli attacchi terroristici, governi, servizi d’informazione e media si rifiutano ancora di ammettere. La tecnica dell’attentato è elementare: un camion, un autista, una pistola e poi l’effetto sorpresa nella notte illuminata dai fuochi di artificio, nel rumore festoso, che distraeva la folla da qualsiasi possibile pericolo imminente, nonostante lo stato di emergenza ancora in vigore. Semplice e spietato il maghrebino stragista. Ininfluenti le misure di sicurezza!

All’emulazione delle analoghe stragi in Iraq, in Libano o in Siria è mancato l’elaborato allestimento del “camion bomba” con esplosivi “sporchi”, rinforzati da chiodi e biglie e senza la consueta “cintura esplosiva” d’ordinanza allacciata all’autista, che avrebbero amplificato enormemente il tragico bilancio. Il che porta a dedurre che l’attentatore ha agito non all’interno di una “cellula dormiente” organizzata, ma come un “lupo solitario”, disperato e “non militarizzato”, ma dotato di una ferocia emulativa senza precedenti.

Dopo gli attentati studiati a tavolino meticolosamente e militarmente dispiegati sul campo, come a Charlie Hebdo, al Bataclan e dintorni, all’aeroporto di Bruxelles e al ristorante di Dacca in Bangladesh, questa strage deve preoccupare ulteriormente, perché evidenzia un salto di qualità nella ricerca dell’impoverimento dei mezzi, dei sistemi operativi e nella diffusione del movimento “di base” fondamentalista. Potremmo trovarci, insomma, di fronte ad una evoluzione della guerra strisciante, dove gli obiettivi “sensibili” (città, luoghi, avvenimenti) non necessariamente verranno presi di mira e, quindi, seppure massicciamente difesi, ininfluenti. La strage di Nizza potrebbe indicare che esiste un livello superiore di guerriglia urbana: non il martirio fondamentalista, militarizzato, rivendicato con “orgoglio musulmano”, ma una ragnatela purtroppo molto vasta in Europa, che trova linfa e terreno di complicità nei quartieri a preponderanza arabo-islamica, nelle migliaia di moschee clandestine e improvvisate, nelle banlieu, negli ambienti ristretti di intellettuali arabi di seconda e terza generazione. Un “brodo primordiale” di coltura che per ora il mondo islamico laico e integrato non sa, non riesce o, peggio ancora, non vuole scoperchiare.

Colpire la Francia e l’Europa il 14 di luglio è, in realtà, cercare di distruggere l’essenza e i valori secolari dell’Illuminismo, della nascita degli stati moderni. Con la presa della Bastiglia e il rivoluzionamento che ne seguì in tutto il continente e non solo, si affermarono i valori fondanti della nostra civiltà occidentale. Il trinomio “Libertà, Uguaglianza e Fraternità” ha suggellato la fine dell’uomo suddito e schiavo, nobilitandolo a “Cittadino”, uguale tra uguali con diritti e doveri stabiliti per legge e non più tutelati dal censo; a rescindere la separatezza tra le istituzioni e il popolo; a dichiarare l’uguaglianza tra uomini e donne; a tendere verso una società senza discriminazioni e disuguaglianze sociali; a laicizzare lo Stato e separare il potere temporale da quello ecclesiale. Questa rivoluzione è durata per tutto l’Ottocento e si è trascinata anche nel Novecento, superando le due drammatiche tragedie delle guerre mondiali e le dittature nazifasciste e staliniste.

La creazione dell’Unione Europea è stato il suggello a questo impegno da Sisifo che ha portato pace tra le popolazioni un tempo ostili, ha reso in parte simili i sistemi legislativi, economici e sociali, seppure tra enormi contraddizioni e contrasti tuttora insuperati. Chi, come la Gran Bretagna, si è opposta a questo processo per egoismo o nostalgia imperiale, non ha compreso i rischi connessi all’isolazionismo e ai pericoli di una disgregazione, figlia della miopia di alcuni poteri forti finanziari, mediatici e politici.

Chi ha vissuto la festa del 14 luglio in Francia sa come i francesi e i loro “ospiti” in tutte le grandi città dell’Esagono, celebrano una giornata e una notte di gioia e di inclusione: si sta insieme, si balla e si canta, si vive un evento non cerimonioso, ma concretamente popolare. Non è l’anniversario dell’inizio di una Rivoluzione che fu violenta e sanguinaria, come tutte le rivoluzioni d’altronde, ma la riappropriazione dell’identità storica di nazione. “Nous sommes tous républicains” non è un sentimento vetero-nazionalista, iper-patriottico, ma l’orgoglio di vivere valori e ideali che accomunano tutti, francesi e stranieri che si trovino a Parigi, Lione, Bordeaux, Nizza.

Fin dalla sua nascita nel 610, purtroppo, l’Islam, sanguinariamente diviso al suo interno, non ha mai neppure affrontato teoricamente una “rivoluzione culturale”, come hanno fatto l’Occidente e la Chiesa cristiana. Anzi, in diversi stati (assurdamente disegnati “con il righello” dall’Accordo anglo-francese Sykes-Picot nel 1916) si sta consumando da anni una guerra civile strisciante, ammantata o addirittura nobilitata da giustificazione teologiche. In realtà, da un secolo, i gruppi dominanti delle nazioni arabe si stanno perpetrando nel loro dispotismo e arricchendo alle spalle di popolazioni tenute nell’oscurantismo o nel fondamentalismo. Unica via di uscita e di libertà è stata per milioni di loro l’emigrazione verso l’Europa, mentre le cricche al potere “giocavano” a fare la “guerra per procura” (come nel conflitto israelo-palestinese), a finanziare i gruppi terroristici e a ricattare le potenze occidentali. Il loro processo di occidentalizzazione è stato, insomma, una sorta di camuffamento per arricchirsi ulteriormente e per tenere sotto i piedi milioni di islamici, che vedono invece l’Occidente sia come una speranza di vita alternativa, ma anche come un sistema di vita blasfemo e diabolico, contrario ai dettami del Corano.

Per decenni il Terzomondismo e l’ambiguità delle forze politiche e intellettuali progressiste nei confronti del conflitto israelo-palestinese, al limite spesso travalicato dell’antisionismo, non hanno aiutato a comprendere fino in fondo il dilemma che stava e sta ancora vivendo il mondo islamico. E così si arriva a non voler affrontare il fenomeno terroristico attuale come uno “scontro di civiltà”, ma come l’emanazione di una guerriglia tra il Califfato dell’ISIS (oggi perdente sul territorio della guerra tradizionale) e alcune potenze europee che stanno intervenendo in Siria ed Iraq. Un conflitto che solo in apparenza mostra le sembianze del fanatismo religioso. Il ricorso al “giustificazionismo islamico” per le reti terroristiche è solo un mantra mediatico, perché nella realtà sono proprio le popolazioni islamiche le prime ad essere trucidate, torturate e sottomesse.

Occorre, quindi, analizzare a fondo e senza paraocchi il contesto sociale, economico e culturale della “non-integrazione” dei musulmani d’Europa; fornire una risposta unitaria, militare sui terreni di guerra, attraverso l’intervento della Nato; costringere Israele e Palestina a firmare una pace “onorevole e reale”, emarginando i terroristi di Hamas; risolvere l’annosa “questione” della Turchia, oggi associata nella Nato e al libero mercato europeo, affinché riconosca il diritto dei Curdi ad avere una patria e le responsabilità storiche del “Padre della patria Ataturk” nell’orrendo genocidio armeno di un secolo fa. E dopo il fallito putsch militare, “l’auto-golpe” del “califfo” di Istanbul Erdogan, appare più urgente una rielaborazione a livello dell’Unione Europea e della Nato della collaborazione con la Turchia, sulla base della difesa e dell’allargamento dei diritti fondamentali e universali dell’uomo. Purtroppo è dalla Turchia che finora sono passati in un andirivieni i terroristi e i finanziamenti all’Isis. Non è più tempo di sofisticherie diplomatiche!

Altrimenti, all’orizzonte assisteremo ad altri attacchi e nuovi lutti per tutta l’Europa. E le lacrime non basteranno più…


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