Propaganda politica: ciò che resta e ciò che si nasconde

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“Propaganda politica o politica di propaganda?” è il titolo evocativo delle linee guida intorno alle quali si è sviluppato il dibattito dell’incontro con Vauro svoltosi giovedì 3 marzo presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”.

Cosa resta della propaganda politica in un mondo nel quale la politica sembra sempre più marginale? Si può ancora utilizzare il termine propaganda ai giorni nostri? Quali sono i tratti comuni tra la propaganda più conosciuta dei totalitarismi del ‘900 e i metodi comunicativi e propagandistici di oggi? Qual è l’impatto del web e dei social network sulla qualità dell’informazione? Possono essi rappresentare uno strumento di propaganda?

Numerosi gli interrogativi, molti dei quali enucleati dall’introduzione di Maria Monticelli, membro del Centro Studi Concetto Marchesi, ai quali hanno cercato di dare una risposta i relatori Gianfranco Borrelli, Leonardo Distaso, Alessandro Arienzo e il brillante vignettista Vauro Senesi.

La propaganda, la cui percezione esclusivamente negativa deriva dagli eventi militari e dai totalitarismi del XX secolo, costituisce uno strumento di diffusione di idee utilizzato, lungo il corso della storia, tanto da istituzioni religiose che da portatori di specifici ideali o obiettivi politici. Oggi quel che ci fa nutrire dubbi non è tanto il continuato utilizzo dello strumento della propaganda ma il suo contenuto. La politica, tanto nei luoghi istituzionali deputati alla sua espressione tanto nella società, è sempre più evanescente. In un Paese nel quale si ripete come un mantra che le ideologie sono morte e che esiste un bene superiore dei cittadini ( il riferimento alla “cittadinanza” non è casuale) al di sopra della politica, intesa come becero politicismo, qual è l’idea, il modello o il pensiero da propagare? Nessuno, o meglio: uno solo. La propaganda, politica nella fattispecie, nella sua espressione comune e conosciuta, è servita a convincere o ad asservire, a seconda che l’accezione sia positiva o negativa, ad un modello politico e ideale che presentava alternative in un clima ideale di tensione dialettica. A seguito della caduta del muro di Berlino, attraverso gli eventi che hanno portato ai giorni nostri, è chiaro, agli occhi di chi analizza la società e il mondo in modo critico, che un modello prima economico e poi politico ha vinto. E’ per questo che oggi l’obiettivo della propaganda è quello di mantenere lo status quo e soffocare qualsivoglia accenno di dissenso e tentativo di riorganizzare un’opposizione.

L’informazione, accompagnata da una presunta conoscenza, approssimativa, spesso priva di fonti affidabili, veicolata dai social network, nella maggior parte dei casi, contribuisce a questa quiescenza degli animi, che trovano uno sfogo nella realtà virtuale, contro bersagli scelti. Il bombardamento di notizie H24 ci stordisce e ci immobilizza in questo eterno presente impedendoci di volgere lo sguardo al passato o al futuro. Così come il cinema nazista di Goebbels si sostanziava perlopiù di film d’intrattenimento e assuefava i tedeschi ad una delle più grandi tragedie della nostra storia, così l’intrattenimento e l’informazione dei nostri giorni ci fanno avvertire come lontano e quasi effimero l’Olocausto dei nostri giorni: le migliaia di morti di migranti nei nostri mari.

La soluzione? Trovare, inderogabilmente, modalità per risvegliare le coscienze. Sviluppare pratiche di solidarietà e stimolare la produzione di un pensiero critico. Riscoprire il termine originario e genuino della politica quale strumento di gestione della società e veicolo dell’ideale di un mondo diverso, più giusto. Utilizzando le parole di Vauro: un’utopia nel senso, non di non realizzabile, ma nel senso di un mondo ancora da realizzare.

*Centro Studi Concetto Marchesi


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