Dalle miniere del Ghana al carcere: Yusupha e il sogno di una nuova vita

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E’ uno dei minori stranieri non accompagnati arrivati in Italia. Arrestato perché sorpreso a vendere l’oro raccolto, finisce in prigione. Una volta libero va in Libia, ma anche qui viene messo in carcere: “Ho visto morire i miei compagni di cella e ho dovuto bere l’acqua sporca del water”. A Pozzallo, in Sicilia, è arrivato su un barcone

ROMA – Yusupha viveva insieme al padre anziano, quattro fratelli e due sorelle. La madre è morta cinque anni fa insieme al fratello maggiore e lui, sin da piccolo, ha collaborato al sostentamento della famiglia lavorando in una miniera d’oro a Prestea, una cittadina di quaranta mila abitanti del Ghana, famosa per i giacimenti d’oro. Dopo le ore regolari di lavoro, insieme ad altri tre amici, s’introduceva di nascosto nella miniera di proprietà del governo per raccogliere un po’ d’oro per rivenderlo ed aiutare la sua famiglia.  Un giorno, però, arriva la polizia ma lui riesce a nascondersi e a rimanere per quattro giorni chiuso nella miniera. Passato il pericolo decide di uscire e di andare a rivendere l’oro in un’oreficeria. Il proprietario del negozio però lo denuncia perché si rende conto che l’oro è stato rubato e Yusupha viene arrestato. Due mesi e quattro giorni è il tempo complessivo che il ragazzo rimane in carcere dove viene picchiato e maltrattato. E’ in seguito a questa esperienza che decide di andare in Libia per cercare un lavoro migliore.

Appena arrivato in Libia, però, viene di nuovo arrestato, senza motivo. “Come accade spesso in quel paese”, sono le parole del ragazzo che aggiunge: ”Non serve a nulla avere i documenti, la polizia non li legge neppure se non sono in lingua araba e poi chi li possiede va lo stesso in prigione”. La detenzione dura tre mesi durante i quali cambia ben cinque diverse prigioni ma si trova sempre in condizioni degradanti. I ricordi di questo periodo sono tristemente impressi nella mente del ragazzo che racconta:”Venivamo alimentati con un tozzo di pane al giorno, bevevamo una sorta di sidro che ci faceva bruciare lo stomaco. Se non mangiavamo, il giorno seguente, non ricevevamo più nulla”.

Il triste racconto di Yusupha si sofferma su alcuni dettagli della prigionia: “La cella era piccola ed ospitava tanta gente. Eravamo costretti a mangiare, dormire ed andare in bagno in quello spazio così piccolo. C’era un unico wc ed era in quella stanza. Capitava spesso che bevevamo l’acqua del water in mancanza di altri liquidi”.

Dall’incontro fortuito con una ragazza nigeriana, che aveva pagato le guardie per fare uscire di prigione il proprio fratello, Yusupha alla fine capisce che avrebbe ottenuto la libertà solo corrompendo la polizia. Ed è grazie a un prestito, fattogli proprio dalla giovane donna, che riesce a “comprare” i guardiani e a uscire dal carcere. Durante uno scontro a fuoco nella città di Tripoli, si ritrova insieme ad altre persone sulla spiaggia dove riesce a imbarcarsi sui barconi, senza dover pagare nulla, con la speranza solo di poter finalmente studiare e iniziare una nuova vita nel nostro Paese.

In Italia però i problemi sono ancora molti come rileva Matteo Rallo che gestisce una Comunità di prima accoglienza dei Salesiani per il Sociale (www.salesianiperilsociale.it) a Camporeale vicino a Palermo. E’ in questa struttura che è stato accolto Yusupha e dove abbiamo anche raccolto le osservazioni di Matteo: “Nei porti di sbarco, in fase di prima identificazione, gli operatori nella compilazione delle schede anagrafiche commettono tutta una serie di errori quando inseriscono i dati anagrafici. Inoltre la tempistica nell’apertura della tutela o nella convocazione per le richieste di permesso soggiorno o della protezione internazionale è assolutamente incongruente. Ci sono attese lunghissime, intorno ai sei mesi. Non parliamo, poi, dei ricongiungimenti familiari che sono complicatissimi dal punto di vista burocratico”

La struttura siciliana è gestita dall’associazione “A Braccia Aperte”, socio di Salesiani per il Sociale, dove si trova anche una comunità di seconda accoglienza con minori di origine italiana e tra le due realtà si è istaurato un bel percorso di inclusione e conoscenza reciproca.

Tanti sono anche i problemi sollevati a livello nazionale da Liviana Marelli, referente nazionale area-minori per il Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (Cnca) che rileva come ” il tema della pronta accoglienza deve essere ridefinito e non può essere concentrato solo nei luoghi di sbarco come la Sicilia e la Puglia o di arrivo dalle rotte dell’Est come il Friuli Venezia Giulia. Oggi questo sistema è organizzato con confusione e non viene trattato per quello che è realmente, una questione nazionale”. Liliana Marelli continua poi soffermandosi su un altro grave nodo: “Raggiungere la maggior età, per questi minori stranieri non accompagnati, diventa una dramma perché si chiudono, per legge, le porte delle strutture che li ospitano e c’è il rischio che si ‘aprano’ invece quelle della clandestinità”. (Ilaria Maria Nizzo)

Da redattoresociale


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