La crescente Diaspora verso Israele degli ebrei francesi nei giorni della Memoria

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Per i 550 mila ebrei francesi la “Giornata della Memoria” è diventata una diffusa sensazione quotidiana di un’imminente Shoah. Nella Giornata della Memoria serpeggia nelle comunità un diffuso malessere che li riporta ai tempi delle persecuzioni razziali naziste e del regime collaborazionista di Vichy del maresciallo Petain. Tristi ricordi, senso di sgomento, inquietudine profonda, impossibilità di elaborare ancora i lutti dei momenti tragici che hanno segnato tutto il 2015, con le morti per mano dei fondamentalisti islamici a Charlie Hebdo, all’Hyper Cacher, al Bataclan e ad alcuni bar parigini. Il 2015 è stato anche l’anno delle aggressioni individuali, come l’ultima, appena qualche giorno dopo la strage dei 130 morti del 13 novembre, perpetrata da un giovane curdo da poco rifugiato a Marsiglia, che con un machete si è scagliato contro un professore ebreo.

Secondo i dati della Delegazione interministeriale contro il razzismo e l’antisemitismo, gli atti razzisti contro ebrei, musulmani e neri sono aumentati del 9,3%, le minacce del 26,3% rispetto al 2014: in pratica 434 aggressioni denunciate, di cui 207 contro ebrei. In tutte le comunità ebraiche di Francia ormai si comincia anche a discutere se ostentare o meno in pubblico i simboli tradizionali come la kippah, il piccolo copricapo per lo più nero che soprattutto i più giovani indossano non solo durante il Shabbat, giorno di festa e di preghiere. A Marsiglia, il rabbino capo, dopo l’aggressione al professore ebreo, ha consigliato a malincuore ai suoi fedeli di nascondere la kippah o persino di non indossarla più, “vista la situazione di pericolo che stiamo vivendo”. Un consiglio che al momento non è stato seguito dal gran rabbino capo di Parigi, ma che in molti della comunità aspettavano per sentirsi più protetti. Nelle periferie della capitale, dove le comunità ebraiche e quelle islamiche vivono mischiandosi, la maggioranza delle famiglie ebree ha eliminato di esporre allo stipite della porta di casa la Mezuzah, un piccolo oggetto che racchiude una minuscola pergamena con alcuni passi della Torah, per paura dei furti o di atti vandalici. Più prudentemente la si attacca all’interno. Secondo un sondaggio realizzato dall’IFOP, pubblicato dall’ultimo supplemento illustrato de Le Figaro, nell’anno appena passato il 63% degli ebrei sono stati insultati almeno una volta solo “perché ebreo”; il 51% è stato fatto oggetto di minacce e il 43% è stato aggredito sempre “perché ebreo”.

Un libro inchiesta, appena pubblicato dalla Albin Michel, dal titolo “Le Grand Désarroi” (il grande smarrimento), redatto da due giornalisti-scrittori ebrei molto noti, Salomon e Victor Malka, traccia uno scenario davvero sconfortante di come si sentono e vivono questa recrudescenza dell’antisemitismo in quasi tutte le maggiori comunità a Tolosa, Strasburgo, Nizza, Marsiglia, Parigi e altre ancora. In pratica, si evince dal loro minuzioso lavoro di ricerca e di interviste che “oggi l’ebreo viene identificato come un nemico, non per le sue idee o il suo stato sociale, ma per il solo fatto di essere ebreo”. Meno dell’1% della popolazione francese, diviene così l’oggetto delle violenze quasi quotidiane da parte soprattutto e purtroppo, di un’altra minoranza molto maggiore, quella islamica, che rappresenta il 10% circa dei francesi, con i suoi quasi 6 milioni di cultura musulmana.

Ma lo stato di malessere e di paura vera e propria, secondo gli autori del libro, e anche delle ultime inchieste realizzate dal settimanale di sinistra Marianne, come pure dal conservatore Le Figaro, è l’espressione di un esteso movimento culturale e politico, trasversale, che pervade la destra della Le Pen così come i tanti raggruppamenti della sinistra radicale, che mischia l’antisemitismo all’antisionismo e alla solidarietà con il popolo palestinese, spesso purtroppo vittima della politica aggressiva del governo di destra di Tel Aviv. I sindacati dei trasporti pubblici e degli aeroportuali lamentano, ad esempio, una crescente presenza di atteggiamenti fondamentalisti tra i lavoratori di origine magrebina, che va dalla richiesta di luoghi di culto dedicati e quindi la possibilità di assentarsi di frequente durante la giornata per pregare, a comportamenti sessisti verso le colleghe donne di qualsiasi religione. Si va dal rifiuto di dare loro la mano a quello di sedersi al posto di guida, dove prima c’era stata un’autista donna. La preoccupazione poi si acuisce per la nascita di alcune cellule sindacali islamiche autonome, che cercano di imporre comportamenti, abbigliamento e modi di vivere fondamentalisti.

La tolleranza agli atteggiamenti di “orgoglio musulmano” da parte delle autorità, di ambienti intellettuali e culturali di destra e di sinistra ha indotto così la comunità ebraica a sentirsi sempre più minacciata. Secondo dati non ufficiali, perché tenuti riservati dal ministero dell’interno, quasi la metà degli ebrei francesi ha ottenuto la doppia cittadinanza con il passaporto israeliano. La Diaspora di ritorno verso la “terra promessa” è iniziata nel 2012 (dopo la strage alla scuola ebraica di Tolosa) e ha registrato un’impennata l’anno passato: in questi quattro anni oltre 20 mila ebrei francesi sono andati a vivere in Israele, altrettanti sono emigrati in Canada e negli Stati Uniti. Dall’inizio di Gennaio quasi 2 mila francesi di religione ebraica hanno deciso di stabilirsi in Israele. Questo ritorno, definito Alyah, viene facilitato anche dal governo di Netanyahu con apposite misure, anche se una volta stabilitisi tra Tel Aviv, Hebron e Gerusalemme non tutto è semplice: le case sono care quanto in Francia, così come il costo della vita, mentre i salari sono in media più bassi del 30% rispetto al paese di origine, con orario di lavoro stabilito in 45 ore, anziché le 35 d’oltralpe, e solo 2 settimane di ferie pagate. Nonostante ciò, nella città più francese d’Israele, Netanya, aspettano a braccia aperte altri 2.500 ebrei francesi per Febbraio.


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