Strage Parigi: la risposta sia politica e diplomatica

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La ‘terza guerra mondiale a pezzi’ citata da Papà Francesco è deflagrata in tutta la sua devastante virulenza nel cuore dell’Europa. I segnali, gli avvertimenti da Charlie Hebdo, a Copenaghen, dal Belgio, al Canada non sono bastati a farci aprire gli occhi su una verità che non volevamo, non vogliamo, accettare.  L’attacco al mondo occidentale, non solo di matrice religiosa, riguarda tutti noi.  Ci siamo illusi che la prova di coraggio e di solidarietà a Parigi, dopo quel sanguinario 7 gennaio, con la  marcia di un milione di persone sui boulevard, potesse allontanare lo spettro del terrore, mettere in guardia chi credeva di averci indebolito. Poi abbiamo rimosso, dimenticato,  quei momenti.  Abbiamo voluto credere che loro, i giornalisti del giornale satirico francese, se la fossero andata a cercare. Abbiamo preferito far finta di niente perché ciò ci rassicurava, ci aiutava a convincerci che l’Isis fosse lontano. Che non ci avrebbe mai toccato. Ora sappiamo che non è così.

In questo momento sarebbe sciacallaggio accusare qualcuno di non essere stato abbastanza ‘preparato’, come affermare che  era tutto prevedibile. Ma che la nostra Europa fosse ormai diventato un obiettivo prioritario per il terrorismo islamico, il ‘nemico’ fuori i propri confini da trasformare in campo di battaglia, era ormai evidente. E chi  come Michel Houellebecq raccontava un’ascesa finalizzata alla ‘sottomissione’ non doveva essere isolato, ma ascoltato. Quello di gennaio, quello di ieri, non sono solo attacchi a Parigi,  contro il popolo francese, ma contro tutta l’umanità e i valori universali della democrazia, della libertà e della civiltà che una gran parte di essa condivide. Parigi stessa incarna principi senza tempo del progresso umano e di un percorso di evoluzione che ha portato a un esempio di integrazione che sembrava ottimale. Chi ha straziato la Francia lo ha fatto anche per questo. Volevano terrorizzare la popolazione francese, dell’Europa e i valori che rappresentano.  La guerra ibrida che sta dilagando dall’Iraq, alla Siria, fino al cuore dell’occidente coinvolgendo una generazione di terroristi che non arriva da fuori, ma è nata, cresciuta e formata nei nostri Paesi, dimostra che il nostro mondo, la nostra civiltà, ha fallito.

I nuovi terroristi semplicemente ci odiano e non perché sono stati plagiati dalla religione islamica. Molti di loro hanno un’idea pressoché blanda dell’Islam. Siamo difronte a uno scontro generazionale prima ancora che culturale. Padri musulmani di successo, integrati, colpevoli di essersi allontanati da ciò che erano e che oggi non controllano più i propri figli, nipoti, cresciuti senza una vera identità. Ed è questo il punto vero della questione.  L’occidente, tutti noi, abbiamo delle responsabilità. In primis per aver giustificato invasioni e attacchi armati guidati da fini non certo umanitari, né animati da volontà di giustizia e democrazia. Non si può invadere ‘paesi sovrani’ e ‘portare la pace’ solo per tornaconto economico e interessi geo-politici.  Forse è tardi per evitare altre stragi, il terrore ormai imperversa nelle nostre città, ma non è certo con la guerra globale all’Isis che si può fermare tutto questo. Anzi. Se  il blocco occidentale  attaccherà lo Stato islamico l’Arabia Saudita si schiererà sempre più al suo fianco. Magari non con truppe, ma coi soldi.  Dobbiamo capire che questa è una guerra prima di tutto all’interno stesso del Mondo islamico. L’unica possibile soluzione, forse, è lasciare che loro trovino il loro equilibrio.e  al tempo stesso bisogna agire a livello politico-diplomatico.

Se si fossero investite risorse per promuovere politiche di integrazione della popolazione musulmana in Europa piuttosto che nei bombardamenti in Medioriente e Africa non saremmo arrivati a questo punto.

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