Georgia, Kelly R. Gissendaner giustiziata nella notte. Ignorato l’appello del Papa

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Non sono valsi a nulla i ricorsi, le veglie, il perdono dei figli e anche l’appello del Papa: la corte suprema della Georgia ha confermato l’esecuzione e Kelly Renee Gissendaner è stata giustiziata nella notte con un’iniezione letale. Quarantasette anni, in carcere si era laureata. Riconosciuta colpevole, ma non certo un mostro. Era accusata di aver ordinato l’omicidio del marito, eseguito materialmente dall’amante, condannato all’ergastolo. L’uomo sarà liberato tra otto anni, dopo aver testimoniato contro di lei. La commissione non ha voluto accogliere la richiesta di rinvio, e i suoi membri non hanno voluto fornire una motivazione per la decisione, precisando soltanto che hanno esaminato con molta attenzione la sua richiesta d’appello prima di pronunciarsi. Nell’istanza presentata dai suoi avvocati, si sosteneva che la condanna a morte è inappropriata perché la Gissendaner non aveva materialmente commesso l’omicidio del marito che è invece avvenuto per mano dell’allora amante, Gregory Owen. Paradossi americani di una giustizia forcaiola che condanna alla pena capitale la mandante ma non l’esecutore materiale.

Sono addirittura sessanta le donne attualmente nel braccio della morte. In generale negli Stati Uniti l’esecuzione di donne è un fatto raro e ne sono state giustiziate solo quindici (a fronte di 1400 uomini) da quando nel 1976 la Corte Suprema ha ripristinato la pena di morte. Ma nell’ultimo secolo le donne mandate alla forca sono state ben quaranta, addirittura 1402 a partire dal diciassettesimo secolo. Quasi tutte, almeno a scorrere la storia dei tempi moderni, condannate per omicidi compiuti per intascare i soldi dell’assicurazione.

Una barbarie che il Pontefice ha tentato di fermare. Con una lettera scritta dal nunzio Carlo Maria Viganò, aveva cercato di bloccare fino all’ultimo l’iniezione letale. E nei giorni scorsi, parlando davanti al Congresso americano, Papa Bergoglio aveva rilanciato con forza il suo «no» alla pena di morte: “Recentemente – aveva ricordato – i miei fratelli Vescovi qui negli Stati Uniti hanno rinnovato il loro appello per l’abolizione della pena di morte. Io non solo li appoggio, ma offro anche sostegno a tutti coloro che sono convinti che una giusta e necessaria punizione non deve mai escludere la dimensione della speranza e l’obiettivo della riabilitazione”. Parole che hanno fatto molto discutere negli Stati Uniti: “Bisogna proteggere e difendere la vita umana in ogni fase”.

Nonostante l’appello del Papa, però, le esecuzioni continuano, la mano del boia non si ferma. In Oklahoma è prevista per mercoledì la condanna a morte di Richard Glossip, nel braccio della morte per il suo ruolo nell’uccisione nel 1997 del proprietario di un motel. Glossip si dichiara innocente e ritiene di essere stato incastrato dal vero killer, che sta scontando l’ergastolo e che è stato il testimone chiave per l’accusa. E giovedì prossimo è prevista l’esecuzione di Alfredo Prieto, 49 anni, originario di El Salvador, colpevole di aver ucciso nove persone in California e Virginia tra il 1988 e il 1990. Prieto è affetto da disabilità mentale. Ma neppure la pietà conta in un Paese con la sindrome del cowboy, assetato dalla vendetta di Stato. Senza considerare neppure l’altissimo numero di errori giudiziari, arrivati addirittura al settanta per cento. Altro che giustizia.


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