Aggredita la troupe di Agorà (Rai3). “Il tiro al cronista” non conosce soste

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Mafie e malaffare non possono tollerare chi ancora cerca di “Illuminare” quello che dovrebbe restare “oscurato”, perché le “Terre di mezzo” non possono tollerare interferenze e controlli di legalità. L’Italia da tempo è il paese, in Europa, con il più alto numero di cronisti minacciati, aggrediti, alcuni costretti a vivere sotto scorta.

Basterebbe ricordare, per fare solo qualche esempio, i nomi di Nello Trocchia, di Rosaria Capacchione, di Lirio Abbate, di Giovanni Tizian, di Federica Angeli, di Sandro Ruotolo, per  non parlare di Roberto Saviano. Chi volesse saperne di più potrà consultare il sito della associazione Ossigeno che, con grande tenacia ed altrettanto rigore professionale, documenta ogni caso di aggressione.

Negli ultimi giorni si sono aggiunti casi altrettanto clamorosi, consumati in “Diretta tv” e sotto gli occhi delle telecamere
A Tarquinia, vicino a Roma, l’inviata  della trasmissione “In Onda”, la 7, é stata minacciata ed aggredita mentre stava documentando, dentro parco giochi, il tiro al bersaglio contro il politico, un tiro a segno con invito a sparare all’effige del politico nemico. L’aggressione si è consumata davanti a milioni di persone. Nei giorni a seguire la redazione ha ricevuto altre minacce, sotto forma di insulti.

Nella giornata di domenica la stessa sorte é toccata ad una troupe di Agorà, trasmissione di Rai 3 e all’inviato Alfonso Iuliano (nella foto), che stava occupandosi del post funerale Casamonica. All’improvviso un gruppo di energumeni li ha circondati, insultati, sequestrate camere e cellulari, cancellate le memorie. Per fortuna la polizia è arrivata tempestivamente, i cronisti hanno sporto denuncia e due degli aggressori sono stati arrestati.
L’obiettivo è quello di intimidire e scoraggiare tutti gli altri giornalisti e di tenere sotto controllo il territorio.

Per questo non solo è giusto solidarizzare, ma anche non lasciarli isolati, riprendere e dare spazio alle loro denunce, moltiplicare le inchieste sul malaffare, indagare sulle protezioni e sulle connivenze. Alle Istituzioni e alla politica che pure ha opportunamente solidarizzato con i tanti cronisti minacciati ed aggrediti, va, tuttavia, ricordato che le cosche non colpiscono solo con le armi tradizionali, ma, anche e soprattutto, con le cosiddette “querele temerarie”, divenute il principale strumento di intimidazione preventiva, una sorta di moderna lupara imbracciata per scoraggiare quegli editori e quei cronisti che ancora hanno la voglia di essere occhi ed orecchie della pubblica opinione.

Se davvero la politica vuole dare una mano, cambi la legge sulla diffamazione, attualmente al Senato, ed introduca una sorta di aggravante per chi molesta l’articolo 21 della Costituzione e lo costringa a pagare, in caso di archiviazione o di sconfitta processuale, almeno la metà della cifra richiesta. Questo è il momento per andare oltre le generiche solidarietà che non costano nulla e non si negano a nessuno.


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