La Sicilia che non cambia tra Pirandello, Sciascia…e la mafia bianca

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Vi confesso subito una cosa. Non so quante volte ho riletto in queste ore l’ultimo articolo scritto dal presidente della Federazione Nazionale della Stampa, l’amico, per il quale non basteranno mai le lacrime versate, Santo Della Volpe. Santo Della Volpe è – è stato, mi viene difficile parlare di Lui al passato – quel giornalista che più di altri ha segnato il suo lavoro non distaccandosi mai dalla generosità, dall’onestà e dalla curiosità e dunque quello che ha scritto rappresenta qualcosa di importante e incaccellabile.

Scritti preziosi i Suoi che dovrebbero far parte di uno dei tanti libri che i giornalisti, vecchi e nuovi, dovrebbero tenere a portata di mano sulle loro scrivanie. Quel Suo intervento , del quale oggi faccio uso con difficoltà perchè era dedicato alla “macchina del fango” messa in atto nei miei confronti, penso che mantenga attualità anche davanti al caso Crocetta/Tutino. Santo Della Volpe in quel Suo ultimo scritto ha preso di petto uno dei mali siciliani, ossia l’uso del giornalismo per fini diversi “da quelli per i quali siamo chiamati a rendere conto all’opinione pubblica”.

Ecco spero che l’articolo de L’Espresso non sia stato la “polpetta” avvelenata o meno che sia stata fornita al giornalista al momento giusto. Mi sembra però più importante sottolineare un altro passaggio di quell’articolo di Santo Della Volpe: “Trapani è un luogo difficile per la nostra professione ma proprio per questo il giornalismo deve essere limpido e ben ancorato ai capisaldi della professione. Si deve pubblicare una notizia quando si è sicuri delle fonti e si ha certezza ,provata, di quello che si scrive e non sulla base di fonti non certe o dei “si dice” da chiacchiericcio… gli schizzi di fango possono far male, molto male”. Trapani è in Sicilia, Sicilia che, come accade a Trapani, è un luogo difficile per chi fa il giornalista, tant’è che nell’elenco dei giornalisti morti ammazzati, questa Sicilia fa la sua “bel figura”, e Trapani partecipa pure a “questa fiera delle vanità” in chiave mafiosa, ha il suo morto, si chiamava Mauro Rostagno. Cosa voglio dire. Voglio dire che fa doppiamente male leggere la frase pubblicata da L’Espresso. Intanto perchè è stata usata contro il presidente Rosario Crocetta da parte di quella politica che ha usato l’antimafia come medaglia da appuntare al petto.

L’articolo de L’Espresso lo scrive bene, in Sicilia c’è una politica che tiene bordone al “convitato di pietra”. C’entra Crocetta ma anche coloro i quali oggi si dicono indignati, prima contro Crocetta poi contro i giornalisti. Si dirà, anche Crocetta è stato maestro su questo. Se è vero sarà altrettanto vero che sono stati i suoi “compari”, o “compagni di merenda” a fargli questo bel regalo. Quella frase ascoltata o meno dal presidente Crocetta dovrebbe semmai suscitare silenzi in alcuni, in tutti quelli che hanno partecipato con il chirurgo Tutino ad allestire eleganti e frequentate cene. Fa male di più però leggere quella frase sulla fine che avrebbe dovuto fare Lucia Borsellino, sopratutto perchè è un chiaro messaggio mandato a lei e a tutto quello che di buono le ruotava attorno negli anni in cui ha fatto l’assessore regionale alla Salute, fino all’ultimo giorno, il 30 giugno 2015 quando si è dimessa. Ciò che è accaduto a Palermo il 19 luglio 1992 è stato usato da chi sa bene, come il medico Tutino, che oggi le parole possono avere una conseguenza dirompente pari pari identica a ciò che può causare il “tritolo”. Crocetta sostiene di non averlo sentito dire quelle parole, ma quando Tutino ha avuto modo e maniera di criticare l’assessore Borsellino ha avuto un governatore come Crocetta, che lo ascoltava dall’altro capo del telefono, che gli diceva “tranquillo cu Lucia ci parlo io”.

L’Espresso ha confermato la veridicità della frase violenta, sporca, ignobile, pronunciata dal chirurgo Tutino, la Procura di Palermo ha smentito, mentre il 23° anniversario della strage di via D’Amelio si è imbattuto ancora una volta nell’antimafia parolaia, quella mai ammessa a partecipare alle cerimonie a ricordo della strage, perchè si tratta della stessa antimafia che a suo tempo, non possiamo dimenticarlo, prese di petto anche Falcone e Borsellino. Le parole dette oggi a Palermo da Manfredi Borsellino non hanno avuto nemmeno il tempo di essere stampate sulla cronaca dei giornali perchè presto, immediatamente, sono state stampate sul muro della storia. Corsi e ricorsi della storia si può dire, masticando amaro: sono trascorsi 23 anni dalle stragi del 1992, la mafia c’è sempre e l’antimafia è sempre nella bufera.

Ancora oggi come 23 anni addietro, chi fa il proprio dovere riceve ostilità, ce lo ha ricordato ancora Manfredi Borsellino, parlando di ciò che ha subito sua sorella Lucia. Ma la stessa cosa potrebbe valere per tanti altri. Viene da pensare al prefetto Fulvio Sodano trasferito in un battibaleno da Trapani nel 2003 mentre i mafiosi intercettati dicevano che era “tinto” e “sinnavi a ghiri” – se ne deve andare – ; viene da pensare al pm di Trapani Andrea Tarondo che mentre indaga sulla Trapani più segreta riceve attenzione da parte di una congrega di persone che si dice essere in odor di massoneria, da questi soggetti, c’è un verbale di interrogatorio che lo svela, viene bollato come a uno “tinto” e contro di lui “non si può niente”; viene da pensare all’ex dirigente della Mobile di Trapani, Giuseppe Linares, che mentre cacciava Matteo Messina Denaro è stato preso, promosso e portato a combattere la camorra a Napoli. Come già è accaduto ad altri in quel 1992 e negli anni precedenti. Oggi non c’è una antimafia che sta vincendo contro la mafia, le squadre in campo sono ferme sul pari, ma mentre in gradinata si tifa per l’antimafia perchè qui siede il popolo impoverito da decenni di mal governo, di governi che sotto banco cercavano i capi mafia per accordarsi, i tifosi che stanno in tribuna, sono lì ad attendere il gol del vantaggio di Cosa nostra, mentre ci dicono che la mafia non c’è più ma loro per primi sanno che non è vero, e tra quei tifosi in tribuna molto bene si può intravedere il chirurgo Tutino. E’ in tribuna che tengono tra le mani i libri di Pirandello, fedeli, per comodità e giustificarsi agli occhi di chi sta in gradinata, a quell’assunto che “tutto cambia per non cambiare niente”, ma tra le mani tengono anche l’articolo di Sciascia sui “professionisti dell’antimafia”. Pirandello e Sciascia penso che non avrebbero mai voluto vedere usati i loro scritti da certa gente, ma purtroppo è questo che accade, gli alleati dei mafiosi dicono no all’antimafia utilizzando Pirandello e Sciascia.

L’elenco è lungo di questi attori e di queste comparse, buoni per recitare in una qualsiasi commedia degli equivoci, molto bravi, bisogna riconoscere, nel costruire drammi che servono innanzitutto a far scomparire la verità. Pirandello e Sciascia erano però contro questa realtà, che aiutava, e aiuta, la mafia a scomparire, questa realtà l’hanno denunciata con i loro alti scritti e non erano certo dei propugnatori. Ma ai tifosi che stanno in tribuna questo ovviamente non interessa, e sopratutto dicono che non deve interessare nessuno, tanto oggi nè Pirandello nè Sciascia possono più parlare per dire come stanno le cose.

Io di Sciascia ricordo altro, ricordo per esempio quando scrisse che è in Sicilia che ogni giorno bisogna affrontare una battaglia per difendere e tutelare la democrazia e la libertà in Italia. Ed è su questo fronte che il governatore Crocetta ha perso. La rivoluzione non l’abbiamo vista. Non abbiamo visto nemmeno lui parlare con Tutino ma quelle parole, che mutuavano la peggiore violenza mafiosa, le abbiamo lette sui giornali, ed è come se le avessimo SENTITE! Condivido ciò che ha scritto un giornalista che di Sicilia e di certa sicilianità sa molte cose, il collega Ciccio La Licata: ” Il vero tradimento di Crocetta non riguarda la memoria di Paolo Borsellino o la retorica dell’Antimafia, no. Riguarda l’aver permesso – non sappiamo se per debolezza o per interesse – che il rinnovamento della politica sulla sanità potesse esser bloccato da ritorni alla gestione amicale”. Non c’era bisogno della pesantissima intercettazione Tutino/Crocetta per percepire che è andata perduta la battaglia più importante che doveva essere compiuta nella terra “disgraziatissima” di Sicilia , nel terreno della Sanità, dove la “mafia bianca” non ha alzato bandiera bianca. Lucia Borsellino questo lo ha scritto nella sua lettera di dimissioni, ma quella lettera è stata accolta dalla politica, che oggi si strappa le vesti, con un silenzio assordante! Rosario Crocetta è un presidente che non è sfuggito al destino dei suoi predecessori. Da decenni vediamo presidenti arrivare sulla poltrona di governatore in Sicilia, ancora prima dell’elezione diretta di Totò Cuffaro, che hanno promesso tutto, rivoluzioni e ristrutturazione, riforme e leggi le migliori da fare, e poi sono caduti in malo modo, scoperti ad essere solo dei bravi trasformisti.

Oggi bisogna interrompere questa china, ed io il presidente da votare alle prossime elezioni l’ho trovato, si chiama Lucia Borsellino. Il pubblico che sta in tribuna – che somiglia molto a quei galantuomini dei quali scrisse Sciascia nel suo libro Le parrocchie di Regalpetra – ha due scelte, o allinearsi con la vera antimafia oppure alzarsi ed uscire da questo stadio. Oggi intanto a Palermo i “pennacchi e i distintivi” si sono dovuti inchinare dinanzi alle parole di Manfredi Borsellino. C’è un detto siciliano che al solito propaganda la convivenza tra il bene e il male, lo trovate scritto in uno dei libri di Sciascia, “nun si mangiano meli senza muschi”: con parole commosse e forti Manfredi Borsellino, con quella sua richiesta di restare in Sicilia per il dovere che sente nei confronti del Padre e di sua sorella Lucia, ci ha detto che in Sicilia può accadere se lo si vuole di mangiare le mele senza avere a che fare con le mosche. Speriamo che Lucia Borsellino torni presto da Pantelleria (la tua isola, Santo) e che decida di continuare la rivoluzione che oramai non è più cosa crocettiana. Ecco chi preannunciava un 19 luglio 2015 segnato dalla sconfitta dell’antimafia dovrà rivedere i propri assunti, i fratelli Borsellino hanno ridato senso al ricordo del loro Padre, Paolo Borsellino. E per fortuna con loro ci sono tanti siciliani che credono che questa terra tanto disgraziata possa diventare un giorno solo bella! (Hai visto caro Santo ho messo tanti punti esclamativi come a Te piaceva). Ci sono dalla parte dei Borsellino quei siciliani spesso privi di microfono che non hanno pensato come forse ha pensato il medico Tutino dinanzi alla nomina di Lucia Borsellino ad assessore alla Salute, chissa ca cu cia purtau? Ricordate La Civetta di Sciascia? Quando i mafiosi dinanzi all’arrivo del parmese capitano Bellodi si chiesero subito, “ma chissu ca cu ciu purtau” (ma a questo capitano Bellodi chi lo ha portato qui). Infine, l’informazione. In aiuto mi viene Velasquez di Roberto Vecchioni: “bisogna scrivere e lottare”, lo scritto non deve essere mai orpello, ancora Sciascia, ma strumento di lotta e di conoscenza. Ecco il nostro lavoro di giornalisti , compreso quello odierno dei colleghi de L’Espresso, dovrà essere valutato dentro questi paletti. Chi pensa che è arrivato il momento del bavaglio è meglio che cambi paese.


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