“Istituzioni e sistema politico in Italia: bilancio di un ventennio” – di Mauro Volpi

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Istituzioni e sistema politico in Italia: bilancio di un ventennio, edito da Il Mulino (febbraio 2015) e curato da Mauro Volpi, raccoglie gli interventi del Convegno su «Istituzioni e politica in Italia: bilancio di un ventennio e prospettive» tenutosi a Perugia l’8-9 novembre 2013. Le relazioni sono state riviste dagli autori e in alcuni casi attualizzate essendo l’argomento trattato indiscutibilmente contemporaneo e in continuo divenire.

Volpi, apre con il suo ‘Bilancio’ sugli ultimi venti anni di Repubblica, sul passaggio dalla prima alla seconda e la chiusura di quest’ultima fissandone anche i limiti temporali nelle elezioni politiche del 1993 e quelle del 2013. L’unico parallelo che si sente di avanzare è con la vicina Francia, che per numero di ‘Repubbliche’ è andata ben oltre il due, pur rimarcandone le differenze.

«In Italia invece sono venuti meno tutti i partiti che avevano caratterizzato la vita della Repubblica nella lotta antifascista, nella fase costituente e nel dopoguerra e sono nate nuove forze politiche, alcune delle quali non avevano alcun rapporto con quelle “costituenti” o derivavano da partiti che avevano contestato la Costituzione repubblicana.»
Un ‘Bilancio’ quello di Volpi che tiene in considerazione il rapporto tra gli effetti auspicati e quelli realmente prodotti. «I primi sono stati in larga misura “effetti immaginari”, basati sui miti fondativi del ventennio che non si sono realizzati o si sono realizzati solo in misura contenuta.»

Il più inflazionato tra questi “miti fondativi” è quello della governabilità, intesa come stabilità e capacità di durata dei governi. In conclusione comunque un ‘Bilancio’, quello di Volpi, che non sembrerebbe tanto positivo, al punto che lo stesso per chiarire la situazione cita Diamanti «sulla nostra democrazia rappresentativa tira una brutta aria, derivante dalla assuefazione all’anormalità politica e istituzionale che alimenta il disincanto se non l’indifferenza verso la democrazia».

Mario Dogliani, esordisce evidenziando la discrasia esistente tra la «enorme quantità di scritti che hanno ad oggetto la giurisprudenza costituzionale» e la «molto minore quantità di scritti dedicati alla forma di governo e ai singoli organi costituzionali politici».

Senza entrare nel merito della necessità o della bontà delle riforme costituzionali, Dogliani focalizza l’attenzione del lettore sulla ‘originalità’ di quanto accaduto. «Che un governo chiedesse un mandato pieno per chiudere una discussione di merito in realtà mai aperta per pilotare con i poteri governativi, e con quelli di disciplinamento di partito, una serie di revisioni costituzionali ed elettorali fondamentali per la forma di governo e per l’equilibrio dei poteri, non lo si era francamente mai visto.»

Massimo Villone concentra le sue riflessioni sull’evoluzione della forma di governo e sul ruolo svolto dal Capo dello Stato «chiamato più o meno affettuosamente dalla stampa nazionale e da quella estera King George. […] La nomina di Monti, la mancata nomina di Bersani, la formazione di governi delle larghe intese, l’anticipazione esplicita del suo orientamento sullo scioglimento anticipato delle Camere, la convocazione al Quirinale di forze politiche della sola maggioranza, l’insistenza sulle “necessarie” riforme, l’iniziativa del Comitato di “saggi”, le esternazioni su temi propri dell’indirizzo di governo, hanno segnato un intenso protagonismo del Presidente della Repubblica» che per Villone è iniziato forse in precedenza, con la sollecitazione a rinviare il voto sulla mozione di sfiducia di Franceschini presentata il 16 novembre 2010.  Con Fini fuori dalla maggioranza, la dilazione diede a Berlusconi il tempo di «recuperare una manciata di voti».

Cesare Pinelli ritorna sul problema della formazione e della stabilità di governo analizzando la situazione italiana con occhi europei e adducendo spunti di riflessione molto interessanti. «Dopo le ultime elezioni tedesche sono passati molti mesi prima che si sia formato il governo e non mi risulta si sia gridato allo scandalo. Perfino nel Regno Unito i partiti che avevano deciso di coalizzarsi hanno lavorato per un po’ di tempo prima di raggiungere un accordo, e anche lì non vi sono state affatto proteste da parte dei cittadini. Il problema, dal punto di vista democratico, non è di sapere quanto tempo occorra per varare una coalizione all’indomani delle elezioni, ma di porre i cittadini in condizione di capire, alla fine della legislatura, come il Governo e la maggioranza parlamentare che lo sostiene hanno esercitato il potere di cui sono stati investiti dai cittadini stessi.»

Oreste Massari invita il lettore a riflettere su quale sia effettivamente lo scopo primario di un buon sistema elettorale. Secondo la dottrina è quello di assicurare un giusto equilibrio tra rappresentatività e governabilità, tra voto alla lista e voto alla persona, tra rappresentanza nazionale e rappresentanza territoriale, tra potere dei partiti e potere degli elettori. Almeno secondo quanto riportato da Massari e Pasquino già nel 1994, mentre «se guardiamo alla finalità insita nella logica di funzionamento di tutti i sistemi elettorali, maggioritari, proporzionali o misti, nei paesi occidentali o perlomeno europei, troviamo che la finalità è di ridurre la frammentazione partitica sul versante rappresentanza-governabilità».

Anche gli interventi di Massimo Luciani, Mauro Calise e Carlo Galli vertono sui temi della Legge elettorale, sul ruolo del Presidente del Consiglio e su quello del Presidente della Repubblica cercando di rispondere o almeno chiarire alcuni dei tanti interrogativi al riguardo. La Costituzione deve essere oggetto di una «manutenzione» che ne faccia salvo l’impianto di fondo o va radicalmente modificata? La forma di governo più adeguata è quella parlamentare o quella incentrata su un capo dell’esecutivo eletto direttamente dal popolo? Il sistema elettorale attualmente in discussione è innovativo o ripercorre strade discutibili volte a produrre maggioranze certe ma artificiali? Quale può essere la via d’uscita da questa situazione?

Alfio Mastropaolo allarga lo sguardo, nella sua relazione, ai concetti di politica, iperpolitica e populismo, alla critica della politica e all’opinione diffusa che della politica si ha. «Com’è dunque accaduto che la reputazione della politica sia così vistosamente decaduta e che tale decadenza non abbia finora conosciuto alcun rallentamento? La spiegazione di senso comune rinvia a una sopravvenuta – o intrinseca, ma in precedenza sottovalutata – immoralità e inadeguatezza della classe politica.»


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