Processo a Giacalone, a luglio la sentenza. Il cronista, “è un paradosso: si può parlare male della mafia ma non di uno dei suoi esponenti più importanti”

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Si è tenuto ieri 3 febbraio presso il Tribunale di Trapani, il processo al giornalista Rino Giacalone, collaboratore di Articolo21 nonché portavoce del circolo territoriale. Giacalone è accusato di aver offeso la reputazione del boss mafioso di Mazara del Vallo, Mariano Agate. Il giudice Gianluigi Visco ha fissato già due udienze per chiudere il caso: il 12 maggio per sentire tutti i testi e l’imputato e il 9 luglio per la discussione e la sentenza. Si è costituita parte civile la vedova Agate signora Rosa Pace con l’avv Celestino Cardinale. La difesa di Giacalone è stata affidata all’avv. Carmelo Miceli e all’avv. Enza Rando. E’ stato chiesto chiesto e ottenuto a fine udienza che fosse messa a verbale  la presenza in aula del dott. Salvo Licastri per il consiglio regionale dell’Ordine dei giornalisti, e dei rappresentanti di Libera, Umberto Di maggio, coordinatore regionale, e Salvatore Inguì, coordinatore provinciale. L’avvocato ha dichiarato che quelle presenze erano per esprimere vicinanza e sostegno all’imputato. C’era anche una delegazione della scorta civica di Trapani e gli amministratori della Calcestruzzi Ericina Libera Giacomo Messina e Gisella Mammo Zagarella.

“È assente ogni volontà di colpire e diffamare una singola persona, come essere umano e come individuo” ha affermato in aula l’avvocato di Giacalone Carmelo Miceli; “l’espressione, la cui durezza nasce da un’indignazione morale che vuole interpretare e sollecitare quella collettiva, contiene piuttosto un giudizio storico e scaturisce da una riflessione sul fenomeno mafioso, una riflessione che si concretizza in un’immagine che, grazie a Peppino Impastato, non appartiene più al ricco campionario delle rabbiose e scomposte offese, ma fa ormai parte del patrimonio letterario dichiaratamente e coraggiosamente antimafioso e dell’immaginario collettivo della parte più consapevole della società siciliana e nazionale. Non c’è dunque, come si diceva, alcun intento offensivo nei confronti di una singola e specifica persona, ma una spassionata valutazione di quello che ha fatto, che ha rappresentato e che è stato in modo storicamente e giudiziariamente evidente: un “pezzo”, cioè una parte costitutiva e attiva, di una violenta e sanguinaria organizzazione criminale. Abbiamo chiesto e ottenuto di sentire Salvo Vitale e il capo della Mobile di Trapani Giovanni Leuci”.

“Con tranquillità e serenità mi affido al giudizio del Tribunale” ha commentato a caldo Giacalone. ”Resto perplesso ancora sulla iniziativa del magistrato titolare delle indagini che ha riconosciuto l’esistenza di una offesa alla reputazione di un uomo che è morto da pluriergastolano. Siamo dinanzi ad un paradosso. Ancora oggi abbiamo la prova che sul piano culturale la lotta alla mafia segna il passo. Altro che sconfitta se oggi non si può dir male di uno dei suoi esponenti più importanti, Mariano Agate, pari e forse di più di quel tal Matteo Messina Denaro. Cioè siamo dinanzi a scenari e ragionamenti che vogliono dimostrare che si può dire che non solo la mafia esiste e che è una montagna di merda, come se questa fosse anche una eccezionale concessione a poterlo pensare, siamo però dinanzi a scenari che vogliono negare il diritto a dire che anche l’uomo mafioso è un pezzo di quella montagna di merda, vivo o morto che sia. Devo ringraziare poi l’Ordine dei giornalisti, il suo presidente, il consigliere Licastri per essere stati presenti e per l’atto di solidarietà che mi è stato esternato , stessa cosa per l’associazione Libera, la Scorta Civica di Trapani e l’amministrazione della calcestruzzi Ericina Libera anche loro presenti all’udienza”

P.S. A seguire il processo non risulta nessun giornalista locale…


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