L’ennesima ecatombe nel Mar Mediterraneo, che al momento in cui questo articolo prende corpo conta almeno 330 vittime, è inaccettabile non solo per l’orrore che ne denota la genesi, ma anche per le tante lacrime di coccodrillo che hanno contribuito ad ‘annegare’ le vittime della tragedia del mare di queste ultime ore.
La questione dell’immigrazione ha oltrepassato limiti invalicabili e l’Italia, l’Europa. si trovano ad affrontare un fenomeno che cresce esponenzialmente con il passare del tempo.
I migranti, i cui flussi continuano ad aumentare, sono disposti a mettere in gioco la loro vita pur di sfuggire al destino che li attende nei paesi di origine dilaniati da conflitti e crisi umanitarie senza fine.
Dopo la sospensione di Mare Nostrum e la conclamata, e voluta, inefficacia di Triton si è giunti al punto in cui non è più rinviabile un’azione condivisa che si sviluppi su un doppio binario: interventi mirati nei luoghi da cui si registrano gli esodi di massa, cercando di portare aiuto e assistenza umanitaria lì dove serve in via immediata, e in Europa, dove si gioca la scelta su politiche che per loro stessa natura travalicano i confini nazionali e coinvolgono anche autorità internazionali.
È ormai evidente che sia necessario un intervento che modifichi in modo sostanziale la politica delle migrazioni, strettamente connessa ad una questione giuridica primaria. Basterebbe un adeguamento del regolamento di Dublino II, che non è più in grado di rispondere alle attuali criticità.
Le norme sottoscritte con l’atto 343 del 2003 impediscono agli immigrati, qualora identificati in Italia, di lasciare il nostro Paese.
Se l’obiettivo del legislatore europeo era quello di evitare che i richiedenti asilo fossero inviati da un paese all’altro dell’Unione, nella situazione emergenziale che stiamo vivendo negli ultimi anni l’onere dell’ingresso di profughi dall’Africa e dal Medio Oriente non può essere a carico esclusivo del primo punto di approdo.
Bisogna affrontare seriamente la questione, con un approccio europeo integrato. L’Ue deve reagire unitariamente. È in una maggiore cooperazione la chiave di volta idonea a modificare iniziative finora inconcludenti.
Un intervento che possa produrre effetti concreti non può, però, limitare il proprio raggio d’azione al contesto europeo. E il processo di Khartoum, iniziativa euro-africana lanciata dalla conferenza di Roma del 28 novembre che coinvolge paesi africani ed europei, con la regia della Farnesina e del vice ministro Lapo Pistelli, è un primo passo verso questa direzione.
Affiancare alle soluzioni politiche e giuridiche europee un programma strutturato, che coinvolgendo anche autorità internazionali punti alla formazione di corridoi umanitari in Africa, è una prima efficace risposta a un fenomeno sempre più drammatico.
Nella speranza che tali misure pongano un freno alla dolorosa pratica del recupero dei cadaveri in mare.
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