Si spegne una stella, la più abbagliante

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Anita Ekberg se n’è andata in povertà e in silenzio, e forse anche nel buio della mente, nella clinica San Raffaele a Rocca di Papa. Aveva 83 anni, venuta al mondo a Malmo  il 29 settembre 1931 sotto il segno della Bilancia. Da tempo era degente in una casa di riposo dei Castelli Romani, non essendo più in grado di vivere da sola nella villa di Genzano che era diventata il suo invalicabile fortino negli ultimi decenni. Un recinto che con Fellini valicammo in occasione del film “Intervista” per girare la sequenza in cui lei e Marcello Mastroianni, ormai invecchiati, assistono per un atto di magia al loro tenero abbraccio nella Fontana di Trevi per la scena indimenticabile della Dolce Vita. Lo struggente congedo del regista non da lei, ma dal cinema leggendario, dalla società fastosa, dal sogno impareggiabile che l’attrice aveva rappresentato gloriosamente, creatura tra le più abbaglianti mai apparse nel firmamento cinematografico. Il suo corpo sarà cremato, le ceneri riportate in Svezia, l’ultimo addio celebrato presso una chiesa luterana di Roma. Si spegne una stella. Quando Federico ne vide per la prima volta la fotografia in un rotocalco illustrato, per propria ammissione esclamò: “Mio Dio non farmela mai incontrare!” Aveva intuito il potere mesmerizzante  di una bellezza semi divina, capace di frantumare ogni ingenua armatura.

E nella Dolce Vita affida a Marcello, il suo alter ego, i balbettamenti deliranti del maschio privo di difese: “Lo sai che sei tutto! You are everything… Tu sei la prima donna del primo giorno della creazione, sei la madre, la sorella, l’amante, l’amica, l’angelo, il diavolo, la terra, la casa, ah ecco, ecco cosa sei, la casa… Ma perché sei venuta?! Torna in America…Cosa faccio adesso io?” Anita divenne un’icona universale, “ghiaccio bollente” la chiamavano i cronisti dell’epoca, e Ugo Gregoretti racconta nel film “I nuovi angeli” che nei cinema siciliani i giovani, eccitati dalle sue apparizioni, mordevano le spalliere dei sedili di fronte, divellevano le poltrone, i più esaltati si gettavano contro lo schermo nell’illusione di possederla, o di dannarsi. E pensare che quando girai la sua testimonianza per lo special “I protagonisti di Fellini”, lei confessò un’invincibile timidezza: entrando in un locale pubblico, disse, era tale il malessere che avanzando stringeva i pugni fino a ferirsi con le unghie e a sanguinare. Nella stessa intervista però manifestò anche un leggero rancore per Fellini che trasformandola in una dea inarrivabile le aveva bruciato la carriera da attrice: “E lui che è diventato famoso grazie a me – strepitò tre anni fa dal palcoscenico del Festival di Roma –  non il contrario!”.  Se in precedenza la Ekberg aveva partecipato ad alcune produzioni internazionali – era stata la seducente Elena in “Guerra e Pace” di King Vidor – in seguito alla Dolce Vita la sua immagine non riuscì più a dissociarsi dal personaggio di Sylvia e le scritture si diradarono.

Continuò a lavorare ma in opere non memorabili. Si vociferava che fosse  Gianni Agnelli a mantenerla negli agi, con un vitalizio che giunse puntuale fin quando l’Avvocato restò in vita; come avrebbe potuto dimenticare gli incontri d’amore consumati nel suo jet personale, a tremila metri, come a lui piaceva, nel tragitto Roma Torino con o senza ritorno! Ma poi le cose andarono di male in peggio, e Anita sapendo che a Rimini esisteva una Fondazione intitolata a Fellini, si ridusse a bussare anche a quella porta per chiedere un sussidio di sopravvivenza; ignara non soltanto della scomparsa dell’istituto per fallimento, ma anche che gli amministratori riminesi non hanno mai dimostrato la statura per gestire il mito dell’artista più grande nel Novecento a cui la città aveva dato i natali. Neppure nei casi in cui avrebbero potuto trarne profitto di immagine di fronte al mondo intero. Tutto ciò che il comune mise in campo, secondo il suo stile, fu una serata di “solidarietà” intitolata “I migliori anni della loro Dolce Vita”. Allegria!

Fellini nutriva per Anita un’ammirazione infantile e incantata: “Se mi si chiede della Dolce Vita –   scrisse – come nel test delle associazioni rispondo subito: Anita Ekberg! A distanza di trent’anni il film, il suo titolo, la sua immagine, anche per me, sono inseparabili da Anita. Era di una bellezza sovrumana. Quel senso di meraviglia, di stupore rapito, di incredulità che si prova davanti alle creature eccezionali come la giraffa, l’elefante, il baobab lo riprovai anni dopo quando nel giardino dell’Hotel de la Ville la vidi avanzare verso di me preceduta, seguita, affiancata da tre o quattro ometti, il marito, gli agenti, che sparivano come ombre attorno all’alone di una sorgente luminosa. Sostengo che la Ekberg, oltretutto,  è fosforescente. Voleva sapere del copione, se il personaggio era positivo, chi erano le altre attrici, e intanto beveva un bicchierone di quei cocktail pieni di colori bandierine pesciolini e parlava con una vocina da bambina raffreddata che la rendeva ancora più sconvolgente. Mi sembrava di scoprire le idee platoniche delle cose, degli elementi, e in un totale rincoglionimento mormoravo fra me e me: “Ah, ecco, questi sono i lobi delle orecchie, queste sono le gengive, questa è la pelle umana”.

In una occasione lasciò anche balenare per la mia curiosità che alla fine c’era stato un incontro ravvicinato, ma si limitava ad accenni discreti, usando ad arte la figura retorica della preterizione, cioè del negare per rivelare, del dire pretendendo di non dire. Per evitare vanterie di dubbio gusto, evocava la bionda svedese come una creatura mitologica del Walhalla, dal corpo fastoso e scultoreo, la carnagione tersa e bianca che “emetteva luce anche al buio.” Una semidea inarrivabile, che puoi aspirare a possedere solo disponendo dei muscoli di un gladiatore: “Ci vorrebbe la schiena possente, da atleta, di Vittorio Gassman, un domatore, un fisico allenato a qualsiasi battaglia”, affabulava perduto nella sua stessa visione. I suoi disegni descrivono Anitona simile a un’ammaliante orca marina pronta a divorarti. Ma si inteneriva anche per la sua natura infantile, da gigantessa disarmata, assuefatta fatalmente a essere assediata dalla bramosia degli uomini. Chissà che festa ora faranno lassù tutti insieme Anita, Marcello e Federico!


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