“Eravamo tutti francesi, in un clima memorabile di convivenza e tranquillità”. Intervista a Franco Siddi

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Una giornata storica quella di domenica 11 gennaio, impensabile appena subito dopo gli attacchi terroristici che hanno fatto 17 vittime a Parigi per mano di fondamentalisti islamici. Il mondo intero si è ritrovato a marciare per testimoniare la solidarietà ai famigliari delle vittime, ai sopravvissuti e per difendere le libertà fondamentali, prima fra tutte quella di espressione. Per Franco Siddi, segretario generale della FNSI (a capo della delegazione italiana, che comprendeva anche il segretario dell’USIGRAI, Vittorio di Trapani, e chi vi scrive per Articolo 21) si è trattato anche di un’esperienza umana fuori dal comune, inaspettata.

La tua prima sensazione quando ti sei trovato insieme ai colleghi della stampa internazionale e ai sopravvissuti di Charlie Hebdo, in prima fila al corteo.
“Ho capito subito che si trattava di una giornata memorabile e di grande emozione. Non ho mai visto prima un popolo che si riunisse in maniera così globale insieme con le istituzioni e le organizzazioni della società civile, per proclamare il desiderio e la volontà di vivere in libertà i propri diritti e per dire, pur essendoci ancora un clima largamente di preoccupazione e di ansia, che non si cede alla paura. Ma ancora di più – ed è il sentimento più intimo- l’emozione di aver toccato in maniera palpabile che eravamo in tanti, milioni e milioni, a dire che non ci piegheremo all’odio né alla cultura della violenza. Straordinario poi è stato l’avvio del corteo, avendo potuto aprirlo con le associazioni dei giornalisti subito dopo i famigliari delle vittime e i pochi superstiti, sentire l’accoglienza degli applausi scroscianti non appena la nostra delegazione ha sollevato la Carte de Presse. E’ stata l’espressione più alta di affetto e di considerazione per il giornalismo come pilastro delle libertà civili.
Un abbraccio immenso che dai parenti ai superstiti arrivava a noi, ma anche ai 50 capi di stato e di governo che seguivano, quasi a dire, a ribadire che c’è una ragione profonda perché le democrazie devono riunire le istituzioni e i popoli, i quali con le loro libere scelte ridelegano ogni volta i propri rappresentanti.”

Oltre agli applausi, alle grida di “Charlie” hanno risuonato anche le note della Marsigliese. Ecco, Franco, non credi che questo senso di appartenenza ai valori della Repubblica sia qualcosa di straordinario?
“Tutte le persone erano legate da un filo di “unione repubblicana”, come la definiscono i francesi, forti della loro storia e della loro cultura democratica, che riscopre il cuore di un’Europa che sembrava ormai doversi disperdersi. La marcia fino a Nation è stato un esempio di tranquillità e di convivenza, tra bandiere israeliane, palestinesi, francesi: tuti uniti nel motto di “Je suis Charlie”. Sembrava quasi di vivere nel tempo il motto volteriano che ha contribuito a creare la cultura dei diritti dell’uomo: “non condivido le tue opinioni, ma sono pronto a combattere fino alla morte per difenderle”. E proprio mentre marciavamo sul Boulevard Voltaire”.
Ma è stata anche una sfida al clima di terrore, pacifica e di massa, al ricatto dei fondamentalisti, i terroristi, che avrebbero voluto intimorire milioni e milioni di francesi. Non potrò mai scordare i brividi che ho provato quando ho sentito la folla scandire slogan sulla libertà di espressione e “Vive la presse”, viva la stampa!
Ci siamo sentiti tutti cittadini francesi, pur essendo in maggior parte di origini diverse. Questa esperienza deve incoraggiare la nuova Europa. Alla fine, quando siamo andati a cena in una brasserie, gremita come le tante che abbiamo incontrato nelle vie adiacenti a quelle dei tre cortei, abbiamo notato con stupore che il proprietario e i camerieri portavano i distintivi “je suis Charlie” con orgoglio, professando proprio con gli occhi, lo sguardo e le parole, quanto si sentissero repubblicani, secondo lo spirito volteriano”


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