“Mai trattenere la matita”. Intervista con Eric Jozsef

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La barbarie è finita e adesso la Francia si interroga. I tre attentatori sono stati assassinati, hanno raggiunto il martirio che cercavano e lasciato dietro di sé una scia di sangue e terrore che faremo fatica a dimenticare. L’attentato alla rivista satirica “Charlie Hebdo”, il valore imprescindibile della libertà d’espressione, pilastro dell’illuminismo e delle costituzioni del dopoguerra, colpito al cuore, il modello occidentale sotto attacco e l’Europa che si trova a fare i conti con una jihad sempre più feroce e sempre più radicata nelle nostre società.

Polemiche, strumentalizzazioni, rimpalli di responsabilità e dichiarazioni assurde e fuori luogo: come in ogni tragedia, purtroppo, c’è stato anche questo. Per fortuna, però, c’è stata soprattutto la solidarietà di migliaia di cittadini, scesi in piazza, a Roma come a Parigi, per rivendicare l’ideale voltairiano in base al quale “mi batterò fino alla morte contro le tue idee ma mi batterò fino alla morte affinché tu le possa esprimere”. Ne abbiamo parlato con Eric Jozsef, corrispondente dall’Italia di “Libération”, storico giornale della sinistra francese, e autore di riflessioni che non possono lasciarci indifferenti.

Cosa sta succedendo in questo momento in Francia?
La situazione è molto complessa: ci sono state due prese di ostaggi in due luoghi diversi nel nord della Francia. Da una parte abbiamo visto i fratelli Kouachi, barricati con un ostaggio a Demmartin-en-Goele; dall’altra abbiamo visto Coulibaly, l’autore dell’assassinio di ieri di una poliziotta a Porte de Chatillon, nel sud di Parigi, che, in seguito a una sparatoria, è entrato in un negozio di cibo ebraico a Porte de Vincennes, prendendo diverse persone in ostaggio e purtroppo uccidendone quattro.

Nell’ultimo mese la Francia è stata scossa da vari attentati. C’è stata, a suo giudizio, una sottovalutazione di quanto stava accadendo?
Non direi. Da varie settimane, da vari mesi c’era una preoccupazione molto forte: si sapeva anche che c’erano tanti ragazzi che erano partiti alla volta della Siria e dell’Iraq, i quali, una volta tornati, stavano fomentando degli attentati, e c’era anche la memoria del passato recente, quando Mohammed Merah sparò nella scuola di Tolosa, dopo aver freddato alcuni militari francesi. La tensione era già molto alta, “Charlie Hebdo” era protetto, il direttore della rivista aveva un agente di scorta che è stato assassinato, a sua volta, durante l’assalto. Adesso bisognerà capire cosa non ha funzionato: la situazione era nota, si pensava che “Charlie Hebdo” fosse sufficientemente presidiato, non era così e dunque ora bisognerà compiere le valutazioni necessarie, anche perché i fratelli Kouachi e Coulibaly si conoscevano, erano stati coinvolti insieme nel tentativo di far evadere Ali Belkacem, l’autore dell’attentato del ’95 alla stazione RER di Saint-Michel a Parigi. Non stiamo parlando di giovanissimi: avevano una trentina d’anni e facevano parte di una vecchia rete, la “Buttes-Chaumont”, che era già stata individuata. Uno dei due fratelli era già stato in prigione in quanto voleva partire per l’Iraq. L’altro fratello, Said, pare che abbia partecipato a un campo di allenamento di Al Qaeda nello Yemen: a segnalare questo particolare sarebbero state delle relazioni americane; pertanto, bisogna capire se i servizi francesi non lo sapessero o se non l’hanno voluto dire.

Alla luce di ciò che è accaduto, quanto è elevato il rischio che questa jihad si espanda a macchia d’olio? Come far convivere la tutela della sicurezza nazionale con il rispetto delle idee e delle fedi di tutti?
Trovare un equilibrio fra le due cose, in questo momento, è molto difficile: bisogna stare attenti a non fare il gioco dei terroristi perché la psicosi collettiva è esattamente l’obiettivo che si sono prefissati. Ci vuole un rafforzamento delle misure di controllo via internet e della collaborazione internazionale, certo, ma bisogna anche lavorare al fianco delle comunità islamiche per evitare la radicalizzazione di questi ragazzi: purtroppo è molto difficile perché spesso ciò avviene in rete e una stretta in tal senso sarebbe in contrasto con la difesa dei diritti e delle libertà collettive. È una sfida molto complessa: dobbiamo difenderci ma senza calpestare nessuno.

Riprendo un passaggio dell’editoriale di Laurent Joffrin, apparso ieri su “Libération”: “Per difendersi, la libertà rispetterà i suoi princìpi: perseguire senza sosta i criminali, arrestarli e condurli davanti a regolari tribunali, dove riceveranno la meritata punizione, né più né meno; riunire in una giusta mobilitazione tutti i repubblicani che designeranno senza remore l’avversario: il terrorismo e non l’islam, il fanatismo e non la fede, l’estremismo e non i loro compatrioti musulmani che sono le prime vittime dell’integralismo e che sono solidali in questa prova”. Condivido, ma quanti punti ha guadagnato Marine Le Pen dopo queste vicende?
Senz’altro, c’è il rischio che si soffi sul fuoco delle paure. Lei, devo dire, è stata molto politica: non ha condannato indiscriminatamente il mondo islamico, come invece è stato fatto da qualcuno in Italia, anche se ha lanciato la proposta di un referendum per la reintroduzione della pena di morte, senza rendersi conto che questi personaggi non cercano altro che, per l’appunto, la morte. Lei, ovviamente, cercherà di strumentalizzare le vicende di questi giorni, anche se alla manifestazione programmata per domenica a Parigi il Front National non è stato invitato, benché sia molto difficile tener fuori un partito che ha il consenso del venticinque per cento dei francesi.

Marcelle Padovani, storica firma del giornalismo francese, ha dichiarato in un’intervista a “il Fatto Quotidiano”: “Dobbiamo essere sicuri di una cosa: non c’è un paese al mondo dove abbia vinto il terrorismo. Il terrorismo ha certamente destabilizzato le istituzioni, condizionato la politica e la società. Ha reso tutto più difficile. Ma ha sempre vinto lo Stato. La vera domanda è a quale prezzo avverrà tutto questo. Sarà la vittoria di uno Stato democratico oppure dell’autoritarismo e della dittatura?”. Qual è la sua opinione in merito?
Bisogna, in qualche modo, rifiutare quest’alternativa, che è anche la provocazione letteraria di Houellebecq nel suo ultimo libro appena uscito: siamo nel 2022, con una democrazia debole, cittadini senza più valori forti, una crisi profonda della società e, come unica alternativa, lo scontro fra l’estremismo di destra e un presidente musulmano pronto a trasformare, di fatto, la Francia in una repubblica islamica. C’è bisogno di allontanare questa prospettiva e di costruire una terza via: quella democratica, incarnata straordinariamente dai colleghi di “Charlie Hebdo” che, non a caso, sono stati assassinati. È vero che, alla fine, la democrazia prevale ma la sfida è molto difficile perché non c’è più un solo nemico: c’è un nemico omicida, folle e preoccupante, costituito dal terrorismo islamico, e c’è un nemico interno che cerca di giocare sulle paure della gente. Bisogna sfuggire a quest’alternativa.

Qualche settimana fa, un suo connazionale, Lilian Thuram, mi ha detto che i problemi non mancano ma, complessivamente, nella società francese c’è meno razzismo di un tempo. Concorda o ritiene che Thuram sia stato troppo ottimista nella sua analisi?
È difficile valutare il grado di razzismo: alcune inchieste vanno in questa direzione, ma ciò che va detto è che, dopo fatti come questi, col rinnovarsi di vecchie paure, tutto può cambiare. Se avessimo posto una domanda del genere prima dell’11 settembre, avremmo visto che la situazione negli Stati Uniti andava verso una maggiore serenità fra le comunità; dopo l’11 settembre, c’è stata una netta radicalizzazione delle posizioni. Gran parte della popolazione musulmana è integrata nella nostra società ma siamo in una fase di transizione, con l’intreccio di tre crisi: una crisi economica, una crisi sociale e una crisi identitaria. Esse fanno sì che un evento spettacolare, molto forte ed emozionante come quello cui abbiamo assistito possa riaccendere delle paure in un Paese smarrito e in crisi.

Cosa dovrebbero fare, a suo giudizio, Hollande e Valls?
Dovrebbero senz’altro capire cosa non ha funzionato, rafforzare le misure di sicurezza, continuare a dialogare con le comunità musulmane e cercare di sfidare il desiderio di qualcuno di puntare il dito contro tutta la comunità musulmana, rivolgendo al tempo stesso un discorso molto franco alla medesima comunità affinché non si limiti a prendere le distanze dalla violenza ma si ponga qualche domanda sul perché nell’album di famiglia ci siano anche soggetti del genere. L’appello all’unità nazionale c’è stato ma dubito che avrà vita lunga perché le elezioni si avvicinano, il Partito Socialista è molto debole e c’è il rischio che si verifichino delle polemiche già a breve. Per quanto riguarda le decisioni di lungo periodo, devono trovare il modo di rilanciare la crescita al fine di uscire dalla crisi economica, ricostruire il tessuto sociale e affrontare questa crisi d’identità della Francia. Nicolas Sarkozy aveva provato a risolverla aprendo un grande dibattito sull’identità nazionale che, in realtà, era comunque una volontà politica di strumentalizzare le paure e le tensioni, con il rischio di stigmatizzare la parte musulmana della popolazione. La crisi d’identità della Francia viene da lontano e c’è, più che mai, bisogno di riflettere su quale sarà il futuro di questo paese che è stato un grande protagonista del mondo ma non lo è più e vive un senso di declino che alimenta le paure, il ripiegamento su se stessi, la diffidenza e l’estremismo.

Ieri sera, davanti all’ambasciata di Francia in piazza Farnese, c’è stata una grande manifestazione di solidarietà. Che impressione le ha fatto, da giornalista e da francese? Che atmosfera percepisce, oggi, in Italia?
A proposito dell’attentato contro “Charlie Hebdo”, si è parlato molto di “11 settembre francese”: è così perché è stato colpito uno dei simboli dello spirito voltairiano della Francia. Assassinando questi vignettisti, che erano personaggi molto conosciuti e rispettati in Francia, avendo fatto ridere varie generazioni ed essendo molto irriverenti verso tutti i poteri, non solo verso l’islam, come qualcuno ha erroneamente sostenuto, si è colpita la funzione del contropotere costituita dalla satira. Questo è stato percepito come un attacco all’identità, al sentimento, alla forza della Francia e ciò è stato avvertito un po’ in tutta Europa e in gran parte del mondo. La cosa che mi stupisce un po’ è che in Italia sento alcuni commenti che lasciano intendere che “Charlie Hebdo” aveva provocato troppo, che si era messo in una situazione nella quale avrebbe dovuto capire che era giunto il momento di trattenere la matita: questo in Francia non è emerso perché è più forte lo spirito, il valore della laicità e si pensa che si possa far satira anche sulla religione, compreso il profeta Maometto. In questo elemento è racchiusa la differenza di approccio fra i due paesi.


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