Riunificare il mondo del lavoro? Come volete farlo se non capite i contorni della nuova economia?

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Voi non ci avete mai capiti. E non ci avete capiti perché non ci avete ascoltati. E non ci avete ascoltati perché eravate troppo presi a farvi la guerra, spesso ideologica che, a dispetto della vostra matrice culturale, era una guerra che negava le condizioni materiali d’esistenza e la composizione della nuova classe che stava nascendo, la classe dei lavoratori della conoscenza.
Vi siete attardati nella difesa di quello che conoscevate e capivate, ma che era già vecchio allora, e avete combattuto per continuare a rappresentare un mondo che si stava disintegrando sotto i vostri stessi occhi, quello del lavoro operaio e dipendente. Vi siete distinti nella difesa della scuola a progressione d’anzianità e dell’impiego pubblico fatto di privilegi sindacali, concorsi truccati e spartizioni ministeriali, senza interrogarvi sulla nuova composizione sociale che veniva determinata dall’impatto dirompente delle nuove tecnologie.

Avete perso il treno dell’innovazione politica e sociale, portata dall’informatica e dalle telecomunicazioni in un quadro dove eravamo obbligati a diventare proletari intellettuali. E l’avete pagata, da un punto di vista elettorale e dell’egemonia sociale e culturale.

Dagli anni ’60, quando abbiamo ceduto a un’altra visione geopolitica la nostra capacità di intraprendere e innovare e abbiamo svenduto l’informatica di Olivetti, ma anche l’aerospaziale e l’avionica, e poi la stessa fine è toccata alla chimica e alla farmaceutica. Negli anni ’70 e ’80 non avete saputo riconoscere l’incremento numerico e quindi la formazione e l’adesione a nuovi modelli sociali e politici di chi diventava imprenditore di se stesso, cominciava a lavorare nei servizi, diventava titolare di partita Iva nelle professioni creative e nel terziario avanzato. E avete rinunciato a rappresentarlo.
Un processo da voi avviato o tollerato, di cui non avete saputo immaginarne esiti e confini.

Mentre il lavoro usciva dai recinti della fabbrica e si generalizzava alla società tutta, mentre spariva la distinzione fra tempo di vita e tempo di lavoro, si riduceva drasticamente il numero degli operai e un benessere diffuso emancipava il proletariato, non avete saputo applicare le categorie analitiche della vostra tradizione. Non sarebbe forse bastato leggere e attualizzare il frammento sulle macchine, masticare la nozione di general intellect per invertire la tendenza, ma sarebbe stato utile se accompagnato a un’analisi del nuovo capitalismo e dell’estrazione di valore dal lavoro cosiddetto improduttivo. Non l’avete fatto. Non l’ha fatto il partito, non l’hanno fatto i sindacati. Comodo dire che non si governava. Non era così.

Il lavoro cognitivo all’epoca era considerato improduttivo e per questo non si è capito che la cooperazione sociale nascente era lavoro sociale produttivo disponibile a essere poi irregimentato.
Riunificare il mondo del lavoro? E come volete farlo se non capite e non vi alleate ai lavoratori cognitivi, alla classe a cui appartengo? Noi siamo tecnologi ed esperti, innovatori ante litteram, professionisti parasubordinati, creativi ambiziosi,  espressioni dell’eccellenza del mondo della ricerca e della conoscenza. Siamo lavoratori cognitivi che hanno messo in crisi la tradizionale distinzione fra lavoratore intellettale e intellettuale pubblico e la stessa definizione di lavoro e di industria culturale.

Noi crediamo al merito e non all’appartenenza, rispettiamo l’autorevolezza, non l’autorità, non apprezziamo le gerarchie ma le competenze, crediamo nella cooperazione competitiva, abbiamo voglia di fare, abbiamo voglia di lavorare. Siamo prosumer, produttori e consumatori di senso e di merci materiali e immateriali nella società dei media (il feticismo della merce). Ma siamo classe in sé, e non classe per sé.

Con quelle brutte riforme, dalla Treu a quella di Biagi, ci avete trasformati in lavoratori intermittenti, a chiamata, precari, senza immaginare un adeguato sistema di garanzie e di tutele. Ci avete fatto diventare stagisti e working poor, joblessness senza reddito, precari, sottopagati e sfruttati. Ci avete regalato alla presunta rivoluzione liberale di Berlusconi. In venticinque anni vi siete pure fatti rubare la parola d’ordine del reddito garantito da Beppe Grillo.

Riunificare il mondo del lavoro? Come volete farlo se non capite i contorni della nuova economia, se non familiarizzate con concetti come il coworking, il co-housing, il crowdsourcing? Se non sapete cos’è una start-up, non avete idea di cosa sia un’impresa innovativa, se non avete mai fatto i freelance e non sapete come viva il lavoro intermittente dell’informazione, della cultura, dello spettacolo, senza tempi certi e senza garanzie?

Come fate se non siete più capaci di studiare e confrontarvi, di arrivare alla fine di un convegno?

Ma è da qui che si deve ripartire. Dall’analisi di un doppio movimento: la subordinazione delle forme di vita (autocomunicazione, freelance e crowdsourcing) al lavoro salariato che produce ricchezza per i grandi player globali, e l’indipendenza, o meglio, la sopravvivenza, negli interstizi capitalistici delle stesse forme di vita, dall’economia del dono ed esperimenti di autosussistenza, fino al capitalismo personale, la cui produttività, pur avviata dall’accesso a mezzi di produzione propri (i personal media) viene sussunta e subordinata da dispositivi giuridici – brevetti e copyright – che, recintando la conoscenza socialmente prodotta minacciano nuove forme di enclosures simili a quelle della prima rivoluzione industriale.


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