Indagine sul delitto di PP Pasolini

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di Silvio Parrello*

Antefatto alla sera del 1° novembre 1975 quando PP Pasolini aveva con Pino Pelosi un appuntamento fissato nei giorni precedenti.

Nell’agosto del 1975 erano stai rubati i negativi del film “Salò  o le 120 giornate di Sodoma”  prodotto dalla PEA di Alberto Grimaldi,   dai due fratelli Franco e Giuseppe Borsellino, (criminali comuni romani, dediti al traffico di stupefacenti con simpatie di estrema destra e morti di ADIS negli anni novanta), all’epoca dei fatti amici di Pino Pelosi, dallo stabilimento della Technicolor di Roma.  Questo furto, su suggerimento di un delinquente comune, noto alla polizia, perché sospettato di gestire il racket della prostituzione giovanile alla stazione Termini a Roma ma alcune fonti sostengono che il vero mandante del furto era  stato un’ amico di PP Pasolini indebitato per l’acquisto di droga.

Tramite Sergio Citti, (morto 11  ottobre del 2005) i ladri chiesero un riscatto alla PEA di Alberto Grimaldi prima di 600 milioni di lire poi si sarebbero accontentati anche di 50 milioni di lire. Le stesse fonti sostengono che tramite Sergio Citti alla fine i ladri erano disposti a restituire i negativi, poiché qualcuno aveva pagato, e il mediatore della restituzione dei negativi, sarebbe stato Pino Pelosi che frequentava PP Pasolini da alcuni mesi. Il 1° novembre 1975 alla stazione Termini Pino Pelosi aveva un appuntamento con il Poeta, stabilito da tempo per accompagnare PP Pasolini ad Ostia e recuperare le due bobine dei negativi del film “Salò e le 120 giornate di Sodoma” a cui il regista teneva ,molto più  del produttore.

Pasolini e Pino Pelosi dopo il loro incontro alla stazione Termini, andarono alla Trattoria il “Biondo Tevere”, e dopo la cena prima di avviarsi verso Ostia i due si appartarono dietro delle baracche di Porta Portese e PP Pasolini fece un rapporto orale a Pino  Pelosi. Quando i due si avviarono verso Ostia con l’Alfa Romeo Giulia GT 2000 del poeta, erano seguiti dai fratelli Borsellino, autori del furto, in sella ad una Gilera 125 rubata. Lungo il percorso si accodò anche una fiat 1500, con tre balordi e una Alfa Romeo simile a quella di Pasolini guidata da Antonio Pinna e a bordo insieme a lui viaggiava un giovane quindicenne.

Arrivati ad Ostia,  PP Pasolini e  Pino Pelosi aspettavano le persone per riavere il negativo della pellicola, i tre Balordi che li avevano seguiti con la FIAT 1500 presero il Poeta e lo massacrarono di botte , mentre i fratelli Borsellino minacciarono il Pelosi. Il giovane quindicenne che viaggiava con il Pinna si mise alla guida dell’ Alfa Romeo, simile a quella di Pasolini e passò sul corpo del Poeta schiacciandolo sotto le ruote.  Alcuni vorrebbero incolpare Antonio Pinna dell’omicidio, ma questo non è vero, poiché mai si sarebbe macchiato di questo crimine. Io conoscevo bene Antonio, eravamo amici d’infanzia ed era molto amico di Pasolini, i due si frequentavano assiduamente, confidenza che il Pinna mi fece pochi giorni prima dell’omicidio e confermato da alcuni amici del quartiere (Monteverde).

Finito il pestaggio con la morte di PP Pasolini causa il passaggio della macchina sul suo corpo steso a terra, i balordi, i sicari,  che avevano avuto questo mandato, fuggirono e sul luogo del delitto rimasero solo due persone Pino Pelosi e Giuseppe Mastini detto “Johnny lo zingaro” che presero la macchina del poeta per fuggire, ma fatti alcuni metri il Pelosi si sentì male, scese dalla macchina e vomitò, mentre il suo caro amico lo abbandonò, proseguì la fuga e giunto sulla Tiburtina, lasciò l’ Alfa Romeo di Pasolini e si dileguò. Un plantare e un maglione verde che erano del ragazzo quindicenne, furono rinvenuti nella macchina dello scrittore, elemento curioso, accertato che il giovane guidava un’altra Giulietta  Alfa Romeo, quella che era passata sopra il corpo di PP Pasolini quando era a terra nella polvere di Ostia.

Il Pelosi, rimasto nei pressi dell’Idroscalo solo e appiedato, fu fermato ad Ostia in Piazza Gasparri dalle Forze dell’Ordine, a poche centinaia di metri dal luogo del delitto.

Alle tre del mattino, due ore dopo l’omicidio due poliziotti telefonarono a casa di Pasolini all’EUR, e comunicarono alla cugina Graziella Chiarcossi che la macchina di PP Pasolini era stata trovata abbandonata sulla via Tiburtina. Di questa telefonata la Chiarcossi, né parlò più volte con Sergio Citti, il quale cinque mesi prima della sua morte, verbalizzò questo fatto alla presenza dell’Avvocato Guido Calvi.  Durante il Processo l’Alfa Romeo di Pasolini fu periziata dai periti Ronchi, Rocchetti e Merli, ma si capì immediatamente che non era stata fatta con grande approfondimento, ma in modo blando e superficiale, anche perché questi tre periti non si recarono mai sul luogo del delitto. La perizia presentata dal perito Faustino Durante, nominato dalla famiglia, è ben diversa, e appare con chiarezza che sul luogo del delitto ci fu almeno un’altra macchina, quella che poi uccise PP Pasolini.

Il giorno dopo il delitto, l’automobile Alfa Romeo ,simile a quella del poeta, fu portata da Antonio Pinna in riparazione presso una carrozzeria al Portuense. Il carrozziere, Marcello  Sperati, viste la condizione dell’auto, si rifiutò di eseguire il lavoro, mentre un secondo carrozziere Luciano Ciancabilla, la riparò.

Il 12 febbraio 1976, nello svolgere l’indagine sull’omicidio di PP Pasolini il maresciallo dei carabinieri Renzo Sansone, arrestò i fratelli Borsellino. La notizia fu data alla stampa il 14 febbraio 1976, lo stesso giorno in cui scomparve Antonio Pinna, la cui auto fu trovata all’ Aereoporto di Fiumicino. Di lui si erano perse le tracce fino al venerdì di Pasqua del 2006 quando venne a trovarmi nel mio studio di pittore e poeta, un sedicente figlio di Antonio Pinna, tale Massimo Boscato, di cui nessuno conosceva l’esistenza, neanche i parenti più stretti, nato da una relazione del Pinna con una donna del Nord Italia. Il sedicente figlio era alla ricerca del padre e tramite un suo amico che prestava servizio alla DIGOS e un approfondimento condotto da lui, risultava che Antonio Pinna era stato fermato a Roma nel 1976, alla guida di un’auto con la patente scaduta, e queste informazioni erano in un fascicolo con la scritta TOP SEGRET.

Ho conosciuto in giovinezza PP Pasolini e sono stato testimone delle sue intrigate vicende che portarono alla sua tragica fine. Ho cominciato questa mia personale indagine sulla morte di PP Pasolini, oltre 10 anni fa, ed a mio modestissimo avviso emerge una verità completamente diversa da quella processuale. Da allora ho provato a riportare l’attenzione su questo crimine irrisolto, che ha una motivazione molto complessa, sono convinto che la verità processuale è diversa da quella reale, ma i miei appelli sono sempre stati frustrati[1]. Il processo ha stabilito che esiste un’ unica verità, la colpevolezza dell’omicidio di PP Pasolini al solo Pino Pelosi[2].

In queste poche righe ho ricordato solamente gli esecutori materiali dell’omicidio, ma tengo a dimostrare che quella sera del 1° novembre 1975 i fatti che portarono alla morte di PP Pasolini erano stati preparati precedentemente con molta cura[3].

In conclusione voglio chiuder con le parole del famoso articolo dei PP Pasolini “Io so ma non ho le prove” pubblicato sul Corriere della Sera nel 1974, poiché quello che scritto è quanto ho messo insieme, con le mie povere forse, con la mia personale indagine.  Sono convinto che la VERITA’ quella perfetta è forse destinata a rimanere imprigionata nella più buia burocrazia e non la sapremo mai. La mia speranza è chi sa, chi conosce i fatti, parli.

Silvio Parrello (detto Er Pecetto) ha conosciuto PP Pasolini ed è uno dei ragazzi nominati dal poeta nel suo famoso libro “Ragazzi di Vita”, lo ha conosciuto nella sua giovinezza, è stato testimone diretto delle intricate vicende che portarono alla tragica fine del Poeta

[1] Oriana Fallaci in un articolo sull’ Europeo, avanza l’ipotesi di un omicidio politico guidato da alcuni vertici dello stato

[2] tesi smentita più volte dalla trasmissione della Leosini “Storie maledette”

[3] Il Senatore Giovanni Pellegrino sostiene che ad assassinare Pasolini erano in cinque, quindi ce ne sarebbero altri due, che Pelosi descrive come “quarantenni con la barba” che non avrebbero direttamente partecipato al pestaggio ma avrebbero in qualche modo sovrinteso all’agguato dell’Idroscalo e questi potrebbero essere legati ai servizi segreti deviati.

 


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