Il difficile Senato

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Per la prima volta, forse, il  governo Renzi  si trova di fronte a un problema di non facile risoluzione. Grazie all’accordo del Nazareno concluso con Silvio Berlusconi all’interno di un quadro politico che vede il leader dell’NCD , Angelino Alfano, come vicepresidente del Consiglio al governo con il Partito democratico, e dunque conferma le larghe attese prima delle prossime elezioni politiche generali, si va verso un Senato di cento membri formato da ventuno sindaci eletti da diciannove consigli regionali e uno ciascuno dalle province autonome di Bolzano e Trento, 74 consiglieri regionali eletti dalle rispettive assemblee e nessuna regione potrà aver ne meno di tre, infine cinque senatori di nomina presidenziale.

Ma, a quanto pare, né il Partito democratico né Forza Italia che in quella assemblea sono le forze maggiori hanno fretta di votare la riforma. La preoccupazione di cui si è fatto portavoce oggi sul quotidiano vicino al partito l’ex direttore Claudio Lo Sardo e che è peraltro presente a tutti i parlamentari è che il disegno di legge Boschi-Renzi ha il difetto di creare conseguenze non volute (o comunque non previste fino in fondo) sull’elezione prossima (tra un anno) del nuovo presidente della Repubblica (Napolitano lo ha detto con chiarezza qualche giorno fa). E problemi, a quanto pare, ci sono anche in Forza Italia dove le opinioni dell’on. Renato Brunetta sembrano distanti da quelle dell’on. Dennis Verdini.   Ma è soprattutto nel Partito democratico che si pensa a soluzioni che non abbiano conseguenze troppo  negative sugli altri organi costituzionali, se non si arriva  a una diversa soluzione sulla sproporzione tra i 630 deputati attuali e i 100 senatori che sarebbero eletti con il nuovo Senato.   All’interno del PD si sarebbero fatte strada tre diverse soluzioni.

La prima l’hanno già intrapresa i relatori del DDL che hanno aggiunto ai cento senatori 63 grandi elettori regionali chiamati a Roma ogni sette anni per eleggere il capo dello Stato. La seconda è quella proposta dalla senatrice Doris Lo Moro e dai 26 colleghi dell’area riformista del PD con l’emendamento 1011 che punta(come stanno facendo peraltro anche Sel, Lega Nord e M55) a ridurre a 500 il numero dei deputati. Si tratterebbe in ogni caso di riportare oltre quota mille i seggi del plenum che elegge il Presidente e vota ogni sette anni per il Capo dello Stato. Ai 630 deputati si aggiungerebbero i 100 senatori, i 73 parlamentari europei espressi dall’Italia con sistema proporzionale, 108 sindaci dei capoluoghi e cento delegati regionali.  In totale sarebbero 1011 elettori, la cui maggioranza assoluta è difficilmente controllabile da un solo partito anche vinto il premio di maggioranza alla Camera e controlla oltre un terzo del piccolo Senato uscito dalla riforma.  Devo dire che questo ultimo emendamento convince di più chi scrive in quanto salvaguarda gli altri costituzionali e impedisce un potere eccessivo dell’esecutivo.  C’è da sperare che si vada verso soluzioni di questo genere e che siano accettate anche da un capo del governo che in questi sei mesi prossimi si occuperà molto dell’Europa ma non può, come è ovvio, trascurare l’Italia e i nostri non facili problemi.


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