Dissenso politico, censura e autocensura

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Il dissenso non è mai piaciuto molto alla politica italiana e, in fondo in fondo, neppure alla stampa italiana. Per cui si sono usati spesso toni intimidatori, sarcastici, o espressioni e analisi molto sbrigative. Riandando a molti decenni addietro Palmiro Togliatti definì “pidocchi nella criniera di un nobile destriero” (il suo Pci) i due dissidenti Aldo Cucchi e Valdo Magnani, persone rispettabilissime sotto ogni punto di vista, i quali avevano il torto di sostenere, in anticipo, che nella polemica e nel distacco dall’Urss avesse ragione Tito. No, divennero anche i Magnacucchi, con allusione un po’ greve al magna-magna. Ho conosciuto bene Valdo Magnani – che fra l’altro era cugino di Nilde Iotti – antifascista, partigiano, “riabilitato” in tarda età quale presidente della Lega Nazionale delle Cooperative, un fine intellettuale. Ma anche Cucchi, un medico stimato, ebbe un percorso politico molto lineare. Parallelamente l’espulsione nel 1955 di due deputati dalla Dc – erano Ugo Bartesaghi e Mario Melloni divenuto poi famoso come Fortebraccio – perché chiedevano di rinviare di tre mesi l’accordo Nato che consentiva il riarmo della Germania Federale assunse i toni di una demonizzazione perenne.

Oggi ovviamente i colori sono meno accesi. Però i dissenzienti sono visti alla fine come i soliti rompiscatole della non meno solita sinistra italiana: succede così a quei 18 senatori, guidati da Vannino Chiti (nella foto), che dissentono dalle “riforme” renziane del Senato e della legge elettorale, contrapponendo un loro progetto fra l’altro molto più incisivo anche sul piano del risparmio di spesa: dimezzare sia senatori che deputati, differenziare le funzioni delle due Camere, mantenere elettivo il Senato, ridare agli elettori l’arma delle preferenze (benissimo usate le tre avute assegnate alle recenti europee).

Da parte degli esponenti della maggioranza renziana i 16 (oggi un po’ di più) vengono trattati così: ricordatevi che Renzi ha avuto quasi il 41 % dei voti, che la grande maggioranza del Pd vuole le sue riforme (cioè Italicum e Senato ridotto, non più elettivo, ecc.), e quindi chi si oppone, “gufa” contro il presidente e il partito e, se insiste, deve ben rendersi conto di “opporsi alle riforme”. Una vulgata che viene ripresa – e questo è grave – pari pari da giornalisti della carta stampata e da conduttori di talk-show televisivi, diventando una sorta di verità conclamata. Non si entra quasi mai “nel merito” di quelle riforme né delle varie proposte in campo dando per scontato che quelle e soltanto quelle siano “le riforme”, che esse rappresentino un dato epocale rispetto al recente passato e che da esse dipenda il futuro della Nazione. Per la verità sappiamo che non è tanto il bicameralismo “alla pari” (non perfetto, alla pari) a rallentare il corso delle leggi, quanto la debolezza dei partiti, la fragilità programmatica e il confusionismo (oggi più che mai, Napolitano docet in materia di decreti) dei governi, ecc. Quando Berlusconi ha voluto far approvare le leggi ad personam ci ha messo una ventina di giorni. Quando si è voluto ostinatamente il pastrocchio del Titolo V sperando in ingraziarsi i voti leghisti, lo si è votato a colpi di maggioranza. Purtroppo.

Comunque è indubbio che le Camere (entrambe!) vadano “smagrite”. Oltre tutto, chi è stato parlamentare sa bene che l’assenteismo nei lavori che nel concreto contano – cioè quelli di commissione – l’assenteismo supera il 50 %. E’ indubbio che ne vadano differenziate le funzioni, ma senza togliere al Senato compiti e garanzie di controllo, anche per rimediare ad evidenti sciocchezze o sbandamenti della prima Camera (vedi il recente voto sulla responsabilità civile dei magistrati).

Nelle scorse settimane però, con sospiri di sollievo se non di sufficienza alcuni cronisti televisivi e loro colleghi conduttori di trasmissioni serali (ormai chiaramente schierati o schienati sulla linea renziana) hanno dato per “rientrata” la protesta di Chiti, Casson, Mucchetti, Tocci, ecc. rassicurando così i loro lettori/ascoltatori.  Ovviamente non era vero. Ma la voce dei dissenzienti non veniva ascoltata, né lo era granché quella di Pippo Civati che dalla Camera li sostiene. O che sorpresa quindi quando quegli ostinati senatori “gufanti” sono ricomparsi, in numero anche più agguerrito, a sostenere le loro concrete ragioni. Bollati subito con uno “spero si rendano conto di opporsi al cammino epocale delle riforme…” Però le preferenze – specie dopo l’incontro col M5s – rispuntano e altre aperture si annunciano, si riparla di Mattarellum…E allora cari colleghi sbrigativi e poco propensi ad ascoltare la pluralità delle voci e ad approfondire? Non siamo, non siete a forme guantate di autocensura e di omologazione all’aria che tira? Pensiamoci. Soprattutto pensateci.


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